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Silvia De Francia, ricercatrice dell'Università di Torino |
Dal
palco di TedxTorino,
il 14 dicembre, la ricercatrice italiana racconta al
mondo i risultati e gli
obiettivi delle sue ricerche sulla farmacologia di genere.
E il suo intervento, tramite la piattaforma Ted, sarà ascoltato in
tutto il mondo.
Uomini
e donne possono assumere i medesimi farmaci con lo stesso profilo di
sicurezza? La risposta è no. Il palco mondiale di Ted Women diventa
la cassa di risonanza di un tema che, nei prossimi anni, diventerà
sempre più cruciale, una vera e propria sfida lanciata alle case
farmaceutiche, perché uomini e donne abbiano gli stessi diritti alla
cura, non le stesse cure!
In
uno studio inglese condotto su circa 20.000 pazienti si è
evidenziato che il
59% dei ricoveri ospedalieri per reazioni avverse a farmaci fosse di
individui di sesso femminile.
Gli effetti collaterali, in sostanza, preferiscono di gran lunga le
donne. La spiegazione è da ricercare nel cosiddetto “bias di
genere”, forte in passato, ancor oggi molto presente.
Negli
studi di sperimentazione dei farmaci, cioè nelle fasi che ne
precedono la commercializzazione, permane, infatti, una
scorretta metodologia operativa, basata
sull’esclusione delle donne dalle analisi sperimentali. Si parte
dall’assunto che uomini e donne, oltre la sfera sessuale, siano
uguali e, dunque, non occorra testare il farmaco in base al genere. I
motivi? Fattori
di tipo etico, economico e socio-culturale, legati a doppio filo con
la “variabilità femminile”,
specchio, in realtà, della complessità clinica.
L’esclusione
delle donne semplifica l’analisi, garantendo un campione omogeneo:
i farmaci vengono normalmente studiati su un campione costituito da
individui di sesso maschile, di età media, sui 70 kg di peso.
E
le donne? Le donne hanno il ciclo mestruale, partoriscono, allattano,
assumono contraccettivi per via orale, vanno in menopausa: un iter
che rende la loro vita molto variabile e, perciò, difficile da
inquadrare. Eppure, secondo l’Istat, le donne si ammalano di più,
usano di più i servizi sanitari e consumano più farmaci,
associandoli, per altro, più frequentemente. La partecipazione delle
donne agli studi di sperimentazione dei farmaci sarebbe, dunque,
necessaria, perché una ricerca condotta soltanto sugli uomini
restituisce una visione parziale in termini di sicurezza ed efficacia
delle terapie, riducendo l’utilità dei risultati ottenuti.
Negli
ultimi anni, secondo le recenti indicazioni dell’Aifa
(Agenzia
Italiana del Farmaco) e le più generali linee guida in ambito di
medicina di genere dettate dal ministero
della Salute,
si è osservato un miglioramento. Un
parziale arruolamento di pazienti di sesso femminile nei nuovi studi
sta cominciando,
ma molti dei farmaci oggi in vendita e di largo consumo, testati in
passato soltanto sugli uomini, continuano a non rendere facile la
cura di molte patologie nelle donne. Alcuni farmaci per
l’ipertensione, per esempio, nelle donne funzionano meno, dando
maggiori effetti collaterali. Le statine, tanto impiegate per
abbassare i livelli di colesterolo, funzionano meglio nell’uomo.
Parametri quali dimensione e composizione corporea, così differenti
fra i sessi, dovrebbero essere il punto di partenza per il calcolo
reale della dose di un farmaco. Così, invece, non è. Dati, o
meglio, differenze, alla mano, si suppone che in alcuni casi il
farmaco possa avere addirittura un meccanismo d'azione diverso nei
due sessi. Un’analisi di genere, dunque, è condizione necessaria
per arrivare all’equità di cura. Finché ciò non avverrà le
donne continueranno a essere relegate a trattamenti in parte
approssimativi e, per certi versi, poco appropriati.