Pubblichiamo le conclusioni di un intervento di Umberto Bocchino e Massimo Boidi sulla rivista Il Fisco
di Umberto Bocchino e Massimo Boidi*
Più si riconosce al consumatore finale la possibilità di portare in deduzione dal proprio reddito una parte consistente del valore del bene o del servizio acquistato, più si aumenta l’incentivo a farsi rilasciare dal venditore evidenza fiscale (fattura, ricevuta, scontrino) dell’avvenuta transazione, che vede quest’ultimo costretto ad adempiere, di conseguenza, ai propri obblighi dichiarativi.
Tale schema, nella sua indiscutibile semplicità, dovrebbe essere applicato in tutte quelle transazioni e in tutti quei settori (eventualmente previa selezione di quelli a maggior rischio evasione), che, da un lato, vedono coinvolto un consumatore finale e, dall’altro, un libero professionista, artigiano o commerciante, soggetti ad una minore rigidità fiscale, elemento invece proprio di una serie di contribuenti medio-grandi, ai quali una siffatta possibilità di evasione è in pratica impedita per natura.
A ciò occorre aggiungere che “l’arruolamento” dei consumatori finali tra i “controllori ausiliari” avverrebbe a costo zero per lo Stato, diminuendo anche i costi per i controlli e gli accertamenti, per i quali non si può di certo pensare ad una completa abolizione.
È chiaro però che, anche ai fini della tracciabilità dei flussi, tanto cari sia al Governo che all’opposizione (con conseguente depotenziamento di qualsiasi dibattito relativo all’innalzamento del tetto per l’utilizzo dei contanti), in sede di compilazione del quadro degli oneri deducibili del Mod. Unico, si dovrà imporre l’obbligo di indicazione del codice fiscale/partita Iva del venditore/prestatore, in modo da consentire quell’incrocio di dati, come accennato in precedenza.
Tale elemento si innesterebbe, una volta tanto, sul quel processo di moralizzazione molto spesso sbandierato, ma mai efficacemente attuato: al di là di slogan di alcun impatto pratico, del tipo “se tutti pagassero le tasse, tutti pagherebbero meno tasse”, occorre rendersi conto che l’onestà fiscale va strettamente a braccetto con il portafoglio di ciascun cittadino, per cui, o si decide una volta per tutte di spezzare questa connivenza omertosa con meccanismi effettivamente premiali, oppure tutti questi discorsi resteranno come sempre parole al vento (in altri termini, se si vuole veramente intervenire con una funzione moralizzatrice in materia di “onestà fiscale” o ci si rassegna “brutalmente” a pagarla o con le sole parole si rischia di fare veramente poca strada ...).
Anche sotto il profilo dell’azione di Governo, un messaggio teso a detassare una volta tanto parte dei consumi, potendo contare comunque su un possibile incremento del gettito, sarebbe di sicuro ed immediato impatto e darebbe probabilmente a tutti i cittadini la percezione di una tipologia di interventi pratici e reali, facilmente riscontrabili a livello finanziario, dopo anni di inutili proclami e di strumenti vessatori, per natura forieri di risultati di segno opposto.
Dal punto di vista giuridico, poi, questa soluzione consentirebbe un ripristino sostanziale dell’equità - oggi solo formale - tra persone giuridiche (le imprese) e persone fisiche, laddove le prime hanno maggiori possibilità di evasione fiscale delle altre, favorendo così la piena attuazione del principio di “universalità dell’imposta” (art. 53 Cost.), per cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e quello di “uniformità o uguaglianza (relativa) dell’onere tributario” (art. 3 Cost.), secondo il quale l’onere fiscale va suddiviso fra tutti i soggetti d’imposta in relazione (ovviamente) alla propria capacità contributiva.
Ma, soprattutto, l’introduzione del principio della “deducibilità integrale” produrrebbe un positivo effetto a catena che i sociologi ben conoscono, poiché, instaurando comportamenti “virtuosi” (come la lotta all’evasione), questi tendono naturalmente a diffondersi nella società.
Se tutti facessero fattura - perché obbligati dalla norma che lo impone eliminando i conflitti - sarebbe più difficile per l’artigiano o il professionista non farla e per il nostro privato cittadino non chiederla.
Senza poi considerare che questa situazione comporterebbe maggiore costrizione di assunzione per coloro che, proprio in presenza di scarsi redditi perché evasori, utilizzano invece maestranze in nero, contribuendo anche a mitigare l’evasione contributiva.
Semplice no? Perché, allora, questo principio non è quasi mai stato preso in considerazione dai responsabili delle politiche pubbliche? Forse perché richiede uno sforzo politico e organizzativo rilevante e nessuno crede che la “macchina Italia” sia in grado di affrontarlo?
Forse perché, finora, è stato molto più comodo aumentare le tasse ai soliti onesti che già le pagano e la situazione economica non era così grave da farci toccare il fondo?
Il fondo, per tante motivazioni, sembra lo si sia quasi toccato. Allora ci chiediamo: se non ora, quando?
* Umberto Bocchino è professore ordinario di Economia aziendale all'Universtà di Torino, commercialista e consigliere della Fondazione Piccatti Milanese dell'Ordine dei commercialisti torinesi
Massimo Boidi è professore a contratto di Diritto commerciale all'Università di Torino, commercialista e vice presidente della Fondazione Piccatti Milanese