Notizie | 21 febbraio 2023, 19:11

Tutti i numeri della moda italiana

Analisi di Mediobanca sulle 152 società del settore: fatturato verso i 90 miliardi - Prada al primo posto, Luxottica al secondo e Calzedonia al terzo - Seguono Moncler e Giorgio Armani

Un modello di Giorgio Armani

Un modello di Giorgio Armani

L’Area Studi Mediobanca ha presentato il nuovo report sulle Maggiori Aziende Moda Italia, che aggrega i dati finanziari di 152 società della moda con sede in Italia e fatturato individuale superiore a 100 milioni di euro.

Nonostante l’incertezza del contesto macroeconomico e il quarto trimestre influenzato dalla recrudescenza del Covid-19 in Cina, il 2022 registra valori molto positivi: i dati preconsuntivi evidenziano una crescita del 20% del giro d’affari nominale a livello aggregato, salito così a 82 miliardi.

A trainare i ricavi sono le vendite all’estero, in accelerazione del 24% sul 2021. In progressione anche gli investimenti che dovrebbero attestarsi a un +35%.

Non solo: per il 2023 si prevede un ulteriore incremento dell'8% del giro d’affari che porterebbe l’aggregato delle Maggiori Aziende Moda Italia a sfiorare i 90 miliardi, all’interno di uno scenario in rallentamento macroeconomico, in un contesto di tassi di interesse che vanno normalizzandosi verso l’alto e con le tensioni inflazionistiche in decelerazione. Sul fronte delle vendite, infatti, si rilevano segnali di ripresa dei consumi e la riapertura della Cina si prefigura come un’opportunità e un importante driver della crescita.

Le 152 maggiori aziende della moda con sede in Italia registrano un valore aggiunto pari all’1,3% del Pil nazionale nel 2021 e sono distribuite in tutta la penisola, con prevalenza nel Nord (111 unità), seguito dal Centro (32).

Tra le imprese manifatturiere spicca l’abbigliamento che determina il 28,6% dei ricavi aggregati 2021, seguito da pelli, cuoio e calzature (23,1%). Le produzioni riferibili all’alta gamma cubano il 73,2% del totale dei comparti abbigliamento, pelletteria e tessile.

Si conferma importante la presenza di gruppi stranieri nella moda italiana: 58 delle 152 aziende hanno una proprietà estera che controlla il 43,6% del fatturato aggregato (il 24,2% è francese), a conferma dell’apprezzamento del Made in Italy oltreconfine. E l’investitore straniero predilige l’alta gamma: l’87,4% del fatturato aggregato delle aziende a controllo estero è relativo alla fascia lusso (il 58,8% è francese).

La proiezione internazionale è una delle caratteristiche più rappresentative delle società manifatturiere della moda: il 73,7% del fatturato complessivo proviene dall’estero, con in testa la gioielleria (80,3%), l’occhialeria (78,0%) e le pelli, cuoio e calzature (76,9%).

I produttori di alta gamma (comparti abbigliamento, pelletteria e tessile) si collocano su livelli di export più elevati rispetto a quelli di fascia più economica (73,2% vs 58,2%), dimostrando maggiore capacità di presidiare i mercati esteri.

La base produttiva delle aziende esaminate è principalmente italiana: il 68% degli insediamenti manifatturieri è ubicato in Italia, mentre il restante 32% è in Paesi stranieri: 17% Europa, 8% Asia, 5% Africa e 2% Americhe. In particolare, per le aziende di alta gamma, la concentrazione della produzione nazionale è maggiore: l’83% della loro base produttiva è in Italia e solo il 17% è in Paesi stranieri (di cui due terzi in Europa).

Le prime venti aziende rappresentano da sole oltre la metà del fatturato aggregato. Al primo posto per ricavi si conferma Prada (3,4 miliardi) che precede Luxottica Group (3,2), consolidata dalla multinazionale EssilorLuxottica, e Calzedonia Holding (2,5). Seguono Moncler e Giorgio Armani con un giro d’affari di 2 miliardi ciascuno.

La redditività segnala una dinamica calante: l’ebit margin scende dal 12,1% del 2019 al 10,6% del 2021, dopo l’impatto dirompente della crisi quando si era fermato al 4,5%. Il comparto pelli, cuoio e calzature riporta i margini più soddisfacenti (15,7% nel 2021), seguito dall’occhialeria (12,3%). Abbigliamento e gioielleria sono gli unici due settori produttivi ad aver migliorato i margini nel triennio, superando i livelli pre-crisi.

Il podio per redditività vede al primo posto Fendi (32,8%), davanti a Renato Corti (29,5%) e Gingi (29,2%, principale marchio Elisabetta Franchi).

In rimbalzo del 46,4% sul 2020 gli investimenti che superano dell’8,9% i livelli pre-crisi (330 milioni in più sul 2019). Fra le aziende produttive, nel comparto della gioielleria la crescita è stata anche più consistente (+189,1%).

La moda italiana è lontana dai riflettori della Borsa: solo il 17,5% del fatturato aggregato (12 miliardi) è prodotto dalle undici società quotate del panel, mentre il restante 82,5% (56,6 miliardi di euro) è generato dalle 141 non quotate.

Al 15 febbraio 2023 il podio di Borsa è occupato da Prada (capitalizzazione di 15,9 miliardi), Moncler (15,7) e Brunello Cucinelli (5,5); medaglia di legno per Salvatore Ferragamo (3), seguita da Tod’s (1,2). Tutte le altre società del panel registrano una capitalizzazione inferiore al miliardo di euro; ma è esclusa la Ermenegildo Zegna che ha sede in Olanda.

Il 26,5% della forza lavoro delle maggiori aziende della moda ha mediamente meno di 30 anni. La maggioranza dei dipendenti è assunta a tempo indeterminato (84,6%) e il ricorso al part-time è mediamente pari al 13,4% dei contratti.

Dall’analisi della varietà di genere emerge che la presenza femminile cala all’aumentare del livello di responsabilità: la quota di donne sul totale della forza lavoro è mediamente pari al 69,5%, ma scende al 35,7% nei ruoli direttivi e al 22,6% a livello di board. La massima presenza femminile nei cda è appannaggio dei gruppi quotati (41,9%), seguita da quella delle medie imprese (33%).

L’età media del board è pari a 57 anni (55 le donne, 58 gli uomini); si innalza con riferimento alle cariche di amministratore unico (65), presidente (63) e vice presidente (62), mentre è più bassa nei consiglieri delegati (56) e nei consiglieri semplici (55). La Generazione X è la fascia generazionale più rappresentata (48%), seguita dai Baby Boomers (38%).

Relativamente alla supply chain, dall’analisi dei bilanci di sostenibilità emerge che i fornitori dei maggiori player italiani della moda sono mediamente localizzati per il 56% in Italia, per il 30% in Asia, per l’11% nel resto dell’Europa, per il 2% in Africa e per il restante 1% nelle Americhe.

Il ricorso a terzisti italiani è massimo per le aziende di alta gamma (80%) che adottano una strategia di maggiore qualità e prossimità, mentre le società vocate a prodotti di fascia più economica si rivolgono soprattutto a fornitori asiatici (58%).

 

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