Storia & storie | 05 aprile 2023, 17:09

Quei Botton(e), piemontesi rivoluzionari

Il Palazzo dei Botton a Castellamonte

Il Palazzo dei Botton a Castellamonte

di Gustavo Mola di Nomaglio*

Nell’area subalpina, il cognome Bottone (o Botton) è sempre stato piuttosto raro. Solo tra le fila dei ceti dirigenti fu rappresentato in modo relativamente consistente, poiché lo portavano due diverse famiglie, quella dei conti di Castellamonte, originari da Cravagliana, poi in Agliè e quella dei conti di S. Giuseppe, originaria di Saorgio, entrambe di nobiltà recente.

Nonostante tra le due Case non esistessero legami (forse non avevano neppure origini comuni), un curioso trait d’union: una certa passione per le idee rivoluzionarie ne unì idealmente i rappresentanti vissuti a cavallo tra Sette e Ottocento. Di seguito si accennerà a entrambi.

Seppure di nobiltà modesta, i Botton divenuti nel tardo Settecento conti di una minuscola porzione di Castellamonte, sono ben noti nella storia del Piemonte per due loro esponenti in particolare. Tra i primi rappresentanti degni di memoria, si ricordano, nel Seicento, un Giambattista, speziale e il figlio Giacomo, notaio ducale e segretario del Comune di Agliè.

Antonio Manno ne il Patriziato subalpino (integralmente consultabile attraverso il sito www.vivant.it) dice che i Bottone erano originari non di Cravagliana, in Val Mastallone, quindi valsesiani, come si è detto sopra, bensì di Cravanzana, nell’Albese. L’errore, probabilmente nulla più che un refuso (anche se occorre dire che vi è chi riferisce di avere incontrato il cognome anche nel Cuneese) è segnalato dallo storico Casimiro Debiaggi, nello studio Le famiglie nobili valsesiane, pubblicato nella rivista “De Valle Sicida” (a. XVIII, 2007, pp. 101-124) e confermato in una sua storia genealogica della famiglia da Carlo A. M. Burdet. 

Il primo tra i Botton da Agliè a percorrere una brillante carriera amministrativa fu Ascanio, il quale, dopo essere stato giudice di Rivarolo e di altri luoghi, fu intendente di Biella nel 1759, Primo ufficiale e poi generale dell’Azienda [Ministero] delle finanze nel 1775. Nel 1772 fu investito del feudo di Castellamonte. Si deve a lui il testo, del Regolamento dei pubblici pubblicato nel 1773, modernamente concepito che fu preso a modello anche fuori dal Regno di Sardegna.

A causa di malversazioni attribuibili più che a lui, a quanto risultò, a suoi collaboratori fu collocato a riposo e, riferisce il già citato Manno «si ritrasse a Castellamonte ove, per edificare un palazzo dissestò il modesto patrimonio».

Quel palazzo fu acquistato nel 1854 dal Comune, che vi pose la propria sede; in seguito, dal 1993, è divenuto sede del Museo della Ceramica accogliendo quale proprio nucleo “storico” la “Raccolta Civica di Terra Rossa”, costituita dalle celebri stufe (o parti di stufe), perlopiù realizzate tra Seicento e Ottocento, nonché da capitelli, da camini e da alari da camino Franklin prodotti con l’argilla refrattaria della zona.

Il più noto tra i Botton da Agliè, poi fissatisi in Castellamonte, fu però un figlio di Ascanio, Ugo (Rivarolo Canavese, 1° aprile 1754 - Parigi, 13 marzo 1828), anticlericale, cospiratore con i giacobini piemontesi per rovesciare la monarchia sabauda, membro del governo provvisorio piemontese sotto i francesi e propugnatore dell’unione del Piemonte alla Francia.

Di lui merita soprattutto d’essere ricordata la figura di giurista illuminato che suscitò l’ammirazione dei contemporanei e la stima dello stesso Napoleone, che lo chiamò a collaborare, unico tra gli italiani, al suo celebre codice, oggi secondo alcuni sopravvalutato.

Celeberrimo e ammirato dagli illuministi del suo tempo fu il Saggio sopra la politica e la legislazione romana, pubblicato probabilmente a Firenze o a Livorno nel 1772, nel quale poneva in discussione alcuni fondamenti del diritto romano, in particolare pronunciandosi a favore di nuove codificazioni fondate sui principi del diritto naturale, con esiti destinati, presuntamente, a determinare giustizia e benessere più diffusi e ampi. 

Negli anni maturi rivalutò – come altri rivoluzionari piemontesi - l’azione politica dei Savoia del passato, attirandosi l’astio di vari storici contemporanei, che stigmatizzano nervosamente, alla luce dei propri pregiudizi, quella giudicano un’inammissibile regressione piuttosto che una legittima e libera evoluzione del suo pensiero (cfr. ad esempio Giorgio Vaccarino, Bottone (Botton), Ugo Vincenzo Giacomo, conte di Castellamonte, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, 1971, pp. 480-482).

Se il passare degli anni raffreddò gli ardori rivoluzionari del conte di Castellamonte, altrettanto non accadde per un altro Bottone, dell’altro ceppo, Alessandro, conte di S. Giuseppe (Gassino, 24 maggio 1799 – Torino, 17 gennaio 1858). Pur non avendo conosciuto in prima persona gli eventi della Rivoluzione francese, questi ne aveva fatto propri gli ideali e aveva manifestato, sin da giovanissimo, idee repubblicane e simpatie per le istanze rivoluzionarie dei popoli dell’America latina. Poche notizie ci restano di lui, compendiate in buona parte in un cenno biografico compilato da Vladimiro Sperber per il Dizionario Biografico degli Italiani.

Nel novembre 1820, coinvolto nei progetti carbonari, abbandonò precipitosamente il Piemonte alla volta degli Stati Uniti. Al suo rientro, mentre si trovava in quarantena nel lazzaretto di Genova, fu sospettato –ma non se ne trovarono le prove- di avere avuto parte nell’insurrezione genovese del marzo 1821.

Dopo la repressione dei moti prese volontariamente la via dell’esilio. Lasciò Genova alla metà di aprile e raggiunse Barcellona (dove un anno dopo sarebbe esulato pure il fratello Emilio, anch’esso ateo convinto, anticlericale e settario). Nella breve permanenza spagnola entrò in polemica col generale e scrittore francese Vaudoncourt, difendendo dalle sue critiche e accuse, con uno scritto in spagnolo pubblicato nel supplemento al “Constitucional” del 21 luglio 1821, gli ufficiali piemontesi coinvolti nei moti di quegli anni. 

Poco più tardi passò in Inghilterra, dove fu in contatto con carbonari e massoni che di qui tramavano contro i troni d’Europa. Nel febbraio del 1822 lo troviamo a Pisa sotto mentite spoglie, munito di passaporto britannico intestato a un certo Bouquette, di pretesa nazionalità americana. Iscrittosi alla locale Facoltà giuridica ne contestò nel 1823 duramente un professore e fu espulso. In seguito al ritrovamento di sue lettere compromettenti presso un altro cospiratore piemontese momentaneamente esulato in Toscana, la sua abitazione pisana fu perquisita. Il ritrovamento di alcuni documenti che dimostravano che faceva uso di un nome falso lo costrinse, per evitare l’arresto, a declinare le proprie vere generalità. Per questo fu espulso dal Granducato di Toscana. Spirito irrequietissimo, tornò in Spagna, dove combatté a fianco dei costituzionali. Dopo la sconfitta del movimento, si rifugiò in Francia e di qui, rifiutando la residenza coatta che gli si voleva imporre, fece vela verso l’Inghilterra. In seguito viaggiò molto attraverso l’Europa, recandosi più volte nei Paesi Bassi, il che fece sospettare che avesse il ruolo di corriere segreto della massoneria. Nel 1824, alcuni cospiratori pentiti lo accusarono di essere coinvolto in un progetto di attentato alla vita di Carlo Alberto. Per alcuni anni le notizie che lo riguardano sono poi estremamente rare e discontinue. Rientrato in patria, si dedicò ad attività politiche e amministrative. Fu sindaco di Castiglione Torinese - dove aveva alcune proprietà - e fece parte, dal 1848, della Camera dei Deputati, militando con intransigenza a sinistra e rendendosi protagonista di accesi dibattiti parlamentari. 

* Storico, scrittore, vice presidente Centro Studi Piemontesi



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