di Francesco Amadelli*
Flaminio Bertoni, spesso confuso con il suo quasi omonimo Nuccio Bertone, fu un carrozziere e non solo. Furono la modestia e la riservatezza le sue doti principali che lo portarono a primeggiare nell’arte dell’ideazione stilistica dell’auto.
Nacque a Masnago (Varese) il 10 gennaio 1903 e lasciò prematuramente la vita terrena, causa un ictus, il 7 febbraio 1964, in Francia. Appena quindicenne cominciò come apprendista in una officina meccanica specializzata nella costruzione di parti auto. I costruttori automobilistici francesi compresero come proprio dagli italiani potessero saltar fuori talenti nuovi in grado di contribuire alla modernizzazione dello stile e del design delle vetture.
Di talento, Flaminio ne possedeva tanto e con la sua lungimiranza comprese come l’Italia non fosse la nazione più adatta per iniziare e continuare un’attività di stilista ma anche di scultore e inventore. Fu la Francia ad aprirgli la strada verso nuove possibilità.
La Citroen, forse la più avanzata fra le industrie automobilistiche d’oltralpe, lo volle ancora giovanissimo. Vi rimase due anni quindi rientrò in Italia. Fu sufficiente quel breve periodo per capire quanto l’imprenditoria italiana fosse ancora legata a schemi produttivi obsoleti. Nel 1931 tornò in Francia per fermarvisi definitivamente.
Non ebbe una vita lavorativa movimentata dato che fu sempre alle dipendenze della Citroen nonostante un breve cursus alla Societe Industrielle de Carrosserie.
Di Flaminio Bertoni ricordiamo principalmente tre vetture alle quali pose mano agevolato nel suo compito dal fatto che la Citroen avesse impostato le proprie vetture con la trazione anteriore: una vera rivoluzione in campo automobilistico dato che fu antesignana in questo campo.
Se da un lato poneva problemi tecnici assolutamente nuovi per l’epoca, la trazione anteriore lasciava maggiore libertà di espressione ai progettisti e designer e lo si vedrà con la Traction Avant, la 2CV e la DS.
La Traction Avant divenne famosa per la robustezza, la 2 CV per l’ammirazione che suscitò nel grande architetto elvetico Le Courbosier, mentre la DS mantiene a tutt’oggi il primato di linea più avveniristica in assoluto nel campo del design automobilistico.
Durante la II Guerra Mondiale subì delle accuse infamanti per essere italiano e dopo il conflitto fu accusato di collaborazionismo per l’operato svolto dalla marca francese a favore dei tedeschi occupanti.
Il valore dell’artista Bertoni fu evidente in occasione della consegna, nel 1961, del Cavalierato dell’Ordine delle Arti e delle Lettere francesi da parte di André Malraux al tempo ministro della Cultura. Un ottimo riconoscimento da parte di una nazione sempre piuttosto restia a riconoscere i meriti di qualche italiano anche se compiuti in terra di Francia. Tre anni dopo, nel 1964, Bertoni morì.
Un intero padiglione del Museo che porta il suo nome contiene molto materiale quali documenti, bozzetti e maquette ed è ubicato a Volandia, non distante da Malpensa.
TRACTION AVANT
Trazione anteriore, scocca portante e carrozzeria in acciaio: furono i tre elementi vincenti di questa vettura nata nel 1934, in piena crisi post 1929 e rimasta in produzione fino al 1957. Una carriera lunghissima, non c’è che dire!
Nacque con un motore 4 cilindri, 1303 cc, 3 marce, 32 cv, velocità max 95 Km/h, denominata 7CV per la potenza fiscale. Molte furono le interpretazioni stilistiche e meccaniche apportate alla vettura nel corso di più 20 anni. Fini nel 1957 con una cilindrata di 2867cc, velocità max 135 Km/h, un passo allungato di circa 20 cm., potenza 77 cv e 15 cv fiscali. Fu una vettura di grande successo, prodotta in poco meno di 800.000 esemplari, dei quali circa 60.000 prodotti fra Belgio e Gran Bretagna.
Per ottenere il consenso al proprio progetto, Flaminio Bertoni si presentò a casa di André Citroen con una maquette scala 1:5 della versione definitiva compiuta dal maestro varesotto nell’arco di una notte a dimostrazione della sua abilità di scultore.
2CV
L’utilitaria francese ebbe vita lunga, fu prodotta dal 1948 al 1990 in oltre 5 milioni di esemplari. Fu denominata 2CV dal numero di cavalli fiscali imposto dallo stato transalpino, ma i francesi la chiamarono familiarmente “dodoche”, diminutivo affettuoso usato solitamente per i bambini.
Il progetto nacque nella mente di André Citroen già negli anni trenta, fu temporaneamente accantonato per lasciare spazio alla Traction Avant. Nel 1935, la morte del patron dell’azienda convinse come fosse urgente ideare una vettura economica, alla portata di tutti e con meccanica semplice.
Furono quelli anni travagliati da profonde crisi sindacali alle quali i governi di sinistra del Fronte Popolare, sorti in contrapposizione ai regimi di Destra presenti in Italia e Germania, non seppero dare risposte convincenti di unità. L’economia francese del tempo era essenzialmente agricola e proprio ai contadini si rivolse l’attenzione dei progettisti gettatisi a concepire un’utilitaria robusta e maneggevole, in grado di sopportare anche pesi rilevanti.
Il primo prototipo denominato T.P.V. tres petite voiture, al quale ne seguiranno molti altri, si presentava in maniera molto spartana, secondo un concetto rivelatosi ingegnoso, in futuro chiamato “pick-up” privo addirittura di fari (tanto i contadini non lavorano di notte, ne avranno bisogno solo di giorno, si diceva).
Flaminio Bertoni, considerato troppo estroso, fu escluso dal progetto (i suoi natali italiani sicuramente giocarono un ruolo importante nell’estromissione).
Scartata l’ipotesi di un motore di 500 cc di derivazione Bmw, si arrivò a prevedere un motore da 375 cc di produzione propria all’interno di una carrozzeria al magnesio, trazione anteriore e ruote posteriori interconnesse onde conseguire una buona tenuta di strada nonostante l’ elevato molleggio.
Il prototipo definitivo saltò fuori nella primavera del 1939, con una carrozzeria rotondeggiante in lamiera ondulata per renderla più robusta e un solo faro secondo le permissive normative francesi dell’epoca. La dirigenza aziendale avrebbe voluto lanciare la vettura nell’ottobre del 1939 ma lo scoppio della Guerra fece saltare tutti i progetti, i prototipi furono distrutti (tranne poche eccezioni) perché non cadessero in mani tedesche.
Bertoni nei primi mesi di guerra si fece vivo presentando un prototipo di sua creazione che riproponeva solo in parte alcuni concetti del T.P.V. di ultima generazione. Si progettò un motore bicilindrico di 375 cc raffreddato ad aria di nuova concezione ideato da Walter Becchia (altro italiano) che diede ottimi risultati.
La carrozzeria prevedeva l’utilizzo di una tela nella parte superiore dell’abitacolo e gran parte di quella posteriore oltre a un unico colore grigio da proporre alla clientela. Diciamo che il concetto di vettura economica proposta da Henry Ford nel 1908 risultò vincente: colore nero unico, semplicità di progettazione, motore unico, meccanica facilmente sostituibile, capote in tela. Non sappiamo quanto i francesi si siano ispirati alle idee del costruttore americano, queste in ogni caso rimasero valide più di trent’anni dopo.
La vettura definitiva fu presentata al Salone di Parigi dell’ottobre 1948 e non ottenne il successo previsto e meritato, a dimostrazione di come i denigratori spesso sono coloro incapaci di progettare e costruire qualsiasi oggetto, la critica feroce è la loro arma vincente. Fu il pubblico a decretarne il successo nel 1949 grazie alle doti di maneggevolezza e robustezza dimostrate dalla vettura.
La vettura nel corso della vita subì moltissimi cambiamenti, rifacimenti, ridimensionamenti ma rimase fondamentalmente fedele al progetto iniziale. Dal motore di 375 cc e 9 cv di potenza si arrivò ai 29 cv e 602 cc e 6 cv fiscali.
Il progetto si dimostrò così valido che in 40 anni permise alla vettura di divenire un’icona di stile utilizzata per sfilate di moda, riprese cinematografiche, set fotografici. Anche Brigitte Bardot fu sedotta dalla 2CV e si fece fotografare in procinto di partire per le vacanze. Chissà se era al corrente di come la sua nuova vettura fosse frutto in buona parte dell’inventiva italiana?
DS
Alla sostituzione della Taction Avant, la Citroen iniziò a pensare già nel 1938, benchè la vettura, ancor giovane, costituisse la punta avanzata della produzione automobilistica. Il progetto rimase in sospeso fin dopo la guerra, quando si iniziò con un prototipo denominato VGD (veicolo a Grande Diffusione). La nascita della vettura definitiva fu rallentato dalla morte dell’amministratore delegato e di altri uomini chiave dell’azienda.
Lo stile fu affidato anche stavolta a Flaminio Bertoni e il motore a Walter Becchia, scelte fortunatissime e lungimiranti si dimostrarono, dato che nacque una vettura divenuta un’icona insostituibile nella storia dell’auto. Fu scelto il propulsore 1.9 cc, si optò per una linea veramente avveniristica, con la parte anteriore molto più larga di quella posteriore onde poter sostenere il peso e la capienza del motore e della trazione anteriore, si adattò la forma della carrozzeria per poter contenere agevolmente 4/5 persone, ma il vero punto di forza fu il sistema di sospensioni idropneumatiche che dava una stabilità senza precedenti alla vettura pur rimanendo molleggiato ed elastico.
Al Salone dell’auto di Parigi, nell’ottobre del 1955, la DS (sigla che in francese suona déesse ovvero dea oppure Désiree Spécial) fu presentata al pubblico internazionale. Essa suscitò pareri contrastanti e per la linea e per le sospensioni, troppo avanzate per essere facilmente accettate almeno da una parte della clientela.
Praticamente tutto veniva rivoluzionato, il volante a un’unica razza, gli indicatori di direzione, la linea di cintura bassa, il cruscotto innovativo e completo: insomma, c’era materiale sufficiente per investirla di critiche da parte dei detrattori.
Il sistema idropneumatico (meglio sarebbe definirlo oleopneumatico) permetteva alla ruote di rimanere indipendenti grazie ai dei serbatoi riempiti per metà di azoto e per l’altra metà di olio separati da una membrana: là dove l’olio si dimostrava troppo rigido perché come liquido risultava incomprimibile subito entrava in funzione l’azoto, comprimibile perché gassoso. La messa a punto richiese diversi anni, ma la caparbietà dei tecnici francesi ebbe la meglio.
Altra novità furono i freni a disco posti anteriormente all’uscita del differenziale per eliminare il peso delle masse sospese (prima vettura europea a montarli anteriormente), secondo uno schema risultato vincente anche in casa Lancia (Aurelia e Flaminia). La carrozzeria non si presentava come un unico pezzo, ma sotto forma di pannelli imbullonati al telaio sottostante.
Dal 1957 al modello DS fu affiancato l’ID più economico. Nel 1958 cominciò la produzione della versione cabriolet e l’anno successivo apparve sul mercato il modello DS Prestige e il Break ovvero familiare.
Nel corso degli anni e fino al 1975, anno di cessazione della produzione, la vettura subì molte modifiche, basti pensare alla DS 21 introdotta nel 1965 con motore di 2175 cc e 109 cv seguito dal modello Pallas.
Nel 1967 la marca francese passò alla seconda serie della gamma DS con fari anteriori carenati. Impossibile elencare tutte le modifiche avvenute nel corso della vita di questa vettura che si andava arricchendo di novità di anno in anno. Furono introdotti anche i fari autodirezionali cioè collegati alla sterzatura delle ruote onde poter illuminare gli angoli morti delle curve.
Nel 1972 la DS23 fu equipaggiata con motore 2.347 cc dapprima a carburatore in seguito I.E.
Da una cilindrata di 1.911 cc e 62 cv in circa venti anni di vita si arrivò a 2.347 cc e 124 cv di potenza con conseguente aumento della velocità.
Flaminio Bertoni in Italia non ebbe il riconoscimento che avrebbe meritato, dato che non lavorò mai per una marca nazionale. Il suo ingegno è indiscutibile. Va riconosciuto però il merito alla dirigenza Citroen di non essere mai caduta nel trabocchetto nazionalistico, tanto caro ai francesi, di escluderlo dalle scelte aziendali, oltre a un’ indubbia capacità ingegneristica che permise alla Marca di adottare di serie innovazioni tecniche strabilianti al limite della spericolatezza. Sarebbe bastato un passo falso e l’azienda avrebbe chiuso i battenti. Ciò non avvenne ed essa è ancora sulla breccia.
Le nostre industrie nazionali furono mai così coraggiose?
* Storico dell'auto, scrittore