di Gustavo Mola di Nomaglio*
Raramente storia e leggenda s’intrecciano nella biografia di personaggi vissuti in tempi relativamente recenti, come accade per Giuseppe Bavastro. Definito “il Jean Bart nizzardo”, Bavastro ricordava il secentesco ammiraglio francese, sia perché era divenuto – come Bart un secolo e mezzo prima- una sorta di terrore delle navi inglesi, sia per la vita tumultuosa, piena di colpi di scena e azioni temerarie.
Capitan Bavastro (in questa forma il suo nome era famoso sui mari), pur essendo considerato a tutti gli effetti nizzardo, aveva origini genovesi. Era nato, infatti, a San Pier d’Arena, il 27 maggio del 1760, da Michele e Geronima Parodi, entrambi genovesi. Poco dopo la nascita, col trasferimento a Nizza del padre, un ingegnere di marina legato al mondo degli affari, era divenuto suddito sabaudo. Pessimo studente ma marinaio nel sangue e sognatore d’avventure, ottenne, appena quattordicenne, un imbarco su un mercantile che faceva la spola tra Nizza e Genova. A quindici anni s’imbarcò su una fregata francese, sulla quale navigò per ventiquattro mesi. Al suo rientro in patria, seppur ancora semianalfabeta, era ormai un eccellente uomo di mare.
Poco dopo si arruolò volontario nei Dragoni di Savoia. Durante la ferma di un anno, strinse amicizia col futuro maresciallo napoleonico Andrea Massena, di due anni più vecchio di lui, anch’egli con un’esperienza di mozzo di mare alle spalle e non meno scavezzacollo. Qualche storico ha sostenuto che Capitan Bavastro e Massena fossero cugini. Altri studiosi, tra i quali Mariano Gabriele, autore del cenno biografico di Bavastro pubblicato nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani, non sono di quest’avviso.
Grazie alle disponibilità economiche del padre, Bavastro armò una goletta, con cui si diede a piccoli traffici mercantili lungo le coste siciliane e spagnole. Associandosi con alcuni armatori genovesi e con i marsigliesi Laflèche, riuscì ad allargare il proprio giro d’affari sino a divenire l’armatore di numerose navi mercantili, non estranee alla guerra di corsa, battenti bandiera francese.
Al tempo della Rivoluzione, costretto più volte a scontrarsi coi nemici della Francia, che si era resa padrona degli Stati sabaudi di terraferma, legò sempre più le proprie sorti agli interessi francesi. Durante l’assedio di Genova del 1800 riuscì a forzare più volte, con audaci sortite compiute con imbarcazioni debolmente armate, il blocco imposto da potenti navi britanniche. La perizia e il coraggio dimostrati in quest’occasione gli valsero la nomina a capitano di fregata della Repubblica di Genova, in sostanza dipendente dalla Francia, e il comando della principale nave genovese, la fregata “Prima”.
Dopo sfortunate vicissitudini, riprese la guerra di corsa al comando di un piccolo sciabecco, da lui battezzato “Intrepido”. Nel 1803 un temerario doppio abbordaggio a danno di navi inglesi gli valse “l’ascia d’onore”, o azza d’arrembaggio, in riconoscimento del suo valore e persino la Legion d’onore. In breve tempo fu a capo di una flotta di navi corsare che, pur con alterna fortuna, diedero molto filo da torcere agli inglesi.
Fu soprannominato da alcuni contemporanei “il corsaro di Napoleone”. Arricchito dalle prede di guerra e dai commerci, condusse, secondo quanto riferisce un biografo francese, vita “fastosa e dissoluta”, viaggiando tra Napoli, Barcellona, Parigi e il Portogallo (dove fu governatore di Santarem).
Dopo avere vinto e perduto molti scontri navali, nel febbraio 1812, fu intercettato da preponderanti forze inglesi nei pressi di Cartagena. Sospinto verso la costa sino ad arenarsi, piuttosto che arrendersi incendiò la Santa Barbara della sua nave e cercò scampo in territorio spagnolo.
Caduto Napoleone, del quale secondo alcuni avrebbe continuato a essere un attivo sostenitore, cosa in realtà non ben certa, emigrò in America meridionale, dove condusse per qualche tempo vita errabonda. Qualcuno suppone che il suo girovagare fosse dovuto a insofferenza nei confronti del clima politico della restaurazione, ma non è facile trovare, al riguardo, riscontri oggettivi e univocamente interpretabili.
I racconti delle sue avventure in questo periodo non consentono di distinguere tra storia e leggenda, sinché non lo troviamo a combattere a fianco di Simòn Bolìvar, all’assalto della fortezza di Cumana e in altre occasioni.
Alcuni storici leggono l’agitata biografia di Bavastro non come un fatto isolato, ma nel quadro di una sorta di corrente di pensiero che portò vari nizzardi dell’800 (dei quali Garibaldi è considerato l’ultimo rappresentante) a cercare una vita “avventurosa e instabile”.
Nel 1830, Bavastro fece parte del corpo di spedizione in Algeria, dove manteneva relazioni con alcuni pirati barbareschi, al seguito dell’ammiraglio Guy-Victor Duperré, contribuendo significativamente al successo francese.
Le sue imprese hanno offerto lo spunto per la pubblicazione di varie biografie, sia in Francia sia in Italia; ma occorre dire che parecchie di queste sono state influenzate, anche troppo, dal volume di Hubert Lauvergne, Bavastro, ou un corsaire sous l'Empire (Tolone, 1853) che, come avverte Carlo Randaccio nella sua Storia delle marine militari italiane dal 1750 al 1860, e della Marina militare italiana dal 1860 al 1870 (Roma, 1886, vol. 1, p. 186) è «[…] piuttosto che storia, un romanzo storico […]».
Conquistata Algeri dai francesi, fu nominato capitano del porto. Morì qui, quasi settantatreenne ma ancora ribollente di energie, il 10 marzo 1833, per un incidente di cavallo.
* Storico, scrittore, vice presidente del Centro Studi Piemontesi