Notizie | 18 marzo 2023, 09:50

Quasi azzerata l'evasione fiscale?

Nel 2022 gettito aumentato di 98,6 miliardi, somma di poco inferiore alla stima delle entrate sottratte all'erario - I dati e le considerazioni della Cgia

Quasi azzerata l'evasione fiscale?

Abbiamo finalmente cancellato l’evasione fiscale? La domanda-provocazione l’ha lanciata l’Ufficio studi della Cgia che, sulla base dei dati presentati nelle settimane scorse dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e dall’Agenzia delle Entrate, ha ricordato che, l’anno scorso, l’erario ha incassato 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive rispetto al 2021, ha recuperato 20,2 miliardi di evasione e ha “bloccato” 9,5 miliardi di frodi.

Questo maggior gettito, pertanto, ammonta complessivamente a 98,6 miliardi di euro. Un importo che ha una dimensione leggermente inferiore alla stima dell’evasione fiscale e contributiva presente in Italia che, secondo le stime, ammonterebbe attorno ai 100 miliardi di euro.

Possiamo pertanto affermare che abbiamo azzerato l’evasione? Certamente no, sebbene abbiamo imboccato la strada giusta per la sua progressiva riduzione. Infatti, una quota preponderante dei 68,9 miliardi incassati in più sono riconducibili al buon andamento dell’economia verificatasi l’anno scorso che include un importo sicuramente contenuto ma ogni anno in costante aumento ascrivibile agli effetti della compliance fiscale.

Dunque, possiamo dire che un fondo di verità c’è.

Se teniamo conto degli effetti riconducibili alla fatturazione elettronica, allo split payment e all’attività di controllo praticata dal fisco attraverso l’incrocio dei dati presenti nelle proprie banche dati, rispetto a qualche anno fa gli evasori hanno la vita più dura. Certo, non tutti.

Chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca, così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali.

Poco “sensibili” alla fedeltà fiscale lo sono anche quelle multinazionali e i giganti del web che, in Italia, realizzano profitti miliardari, ma la stragrande maggioranza delle imposte le versano nei Paesi a elevata fiscalità di vantaggio.

Per l’Ufficio studi della Cgia una riforma fiscale che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre obbiettivi: 1. la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese; 2. la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente; 3. la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.

Il mancato raggiungimento di questi punti costituisce un serio pericolo che la stessa sia destinata a fallire o comunque non in grado di dare una seria risposta alle tante istanze sollevate dai contribuenti che da tempo chiedono un fisco più equo e meno complicato.

Le imprese italiane sono tra le più tartassate d’Europa. Nel confronto con i principali Paesi Ue, purtroppo, la percentuale del gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore, ad esempio, a quella tedesca, francese e spagnola. Se nel 2020 da noi ha raggiunto il 13,5% (garantendo un gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania era al 10,7% (144, 8 miliardi di imposte versate), in Francia al 10,3% (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1% (41,7 miliardi di gettito). Rispetto alla media europea scontiamo oltre 2 punti percentuali in più.

Un ulteriore elemento che conferma l’elevato livello di tassazione sulle nostre imprese emerge dal confronto delle principali aliquote che gravano sul reddito imponibile delle società. Se in Italia si attesta al 27,9%, tra i nostri principali competitor scorgiamo che in Francia è al 25,8% e in Spagna al 25%. Tra i big solo la Germania (29,8% sconta un livello superiore al nostro. Rispetto alla media europea, in Italia l’aliquota è superiore di ben 6,7 punti.

Sebbene gli ultimi dati disponibili dell’Istat siano riferiti al 2020, anno fortemente condizionato dall’emergenza pandemica, la percentuale dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale registrava le soglie più elevate nel Mezzogiorno. Se in Sicilia si attestava al 16,8%, in Puglia al 17%, in Campania al 17,7% e in Calabria al 18,8%, che continua a essere la regione più a rischio evasione d’Italia.

Più fedeli al fisco, invece, erano la Provincia Autonoma di Trento con il 9%, la Lombardia con l’8,4% e, la meno interessata da questo triste fenomeno, la Provincia Autonoma di Bolzano con l’8,2%. La media nazionale si fermava all’11,6%.

Nel Nord Ovest le quote erano 10,3% per il Piemonte, 10,5% per la Valle d'Aosta e 11,7% per la Liguria, quindi la meno fedele delle tre al fisco.

Nel 2022, la pressione fiscale in Italia, data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, ha raggiunto il 43,5%, un livello mai toccato in precedenza.

Il record storico raggiunto l’anno scorso, comunque, non è riconducibile a un aumento della tassazione su famiglie e imprese, ma dal combinato disposto di tre aspetti congiunturali distinti: il forte aumento dell’inflazione, che ha fatto salire le imposte indirette; il miglioramento economico e occupazionale, che ha favorito la crescita delle imposte dirette e, infine, l’introduzione nel biennio 2020-2021 di molte proroghe e sospensioni dei versamenti tributari, agevolazioni che sono state cancellate per il 2022.

Oltre a queste tre specificità, va altresì considerato che a partire da marzo 2022 le famiglie italiane percepiscono l’assegno unico, misura che ha sostituito le “vecchie” detrazioni per i figli a carico. Questa novità (a parità di condizioni) ha delle evidenti implicazioni sul calcolo della pressione fiscale. Se le detrazioni riducevano l’Irpef da versare al fisco, la loro abolizione ha incrementato il gettito fiscale complessivo annuo di circa 6 miliardi di euro. Ricordiamo che, ora, le risorse per erogare l’assegno unico vengono contabilizzate nel bilancio statale come uscite.

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