di Gustavo Mola di Nomaglio*
Giovanni Battista Fassola fu uno tra i più enigmatici e interessanti personaggi del XVII secolo.
La famiglia da cui nacque - a Varallo Sesia, il 22 settembre 1648 - era, secondo alcuni storici, di umili origini popolari e si era arricchita esercitando la mercatura. È tuttavia più probabile che l’attività di mercante, effettivamente svolta dal padre di Giovanni Battista, fosse dovuta al particolare momento di crisi economica e di carestia che questi aveva trovato al proprio rientro in Valsesia, dopo avere combattuto nelle Fiandre sotto le bandiere spagnole.
Infatti, se anche non fossero fondate le pretese dei Fassola di essere una diramazione dei Visconti di Milano (da un ramo dei quali discendevano quanto meno in linea femminile), appaiono inconfutabili le qualifiche nobiliari che si accompagnavano al loro nome, almeno sin dai primi anni del ‘300. E sin da quell’epoca essi erano annoverati tra i maggiorenti non solo di Rassa e delle valli circostanti, dove avevano molti beni, ma, più in generale, della Valsesia.
Nel 1305 tre fratelli Fassola, Bernardo, Domenico ed Emiliano, erano fra i capi della lega dei popoli valsesiani che mosse guerra a Dolcino e ai suoi eretici.
Il nome della famiglia è a lungo legato alle principali vicende storiche valsesiane e anche a un episodio dai contorni leggendari ancor oggi ricordato. Si vuole che nel 1333 un lupo abbia strappato dalla culla un figlio di Emiliano Fassola. Nell’impossibilità di divorare immediatamente il bambino, avvolto in spesse fasce, l’animale l’avrebbe trascinato nei boschi della Val Sorba dove, braccato da vicino dai paesani che avevano assistito al rapimento, era stato costretto fuggire, abbandonando la preda.
L’insperato salvataggio fece pensare a un intervento miracoloso e vi fu chi giurò di avere visto con i propri occhi San Maiolo ordinare al lupo di lasciare la presa e di andarsene. Il Santo è tuttora il Patrono di Rassa e lo stesso stemma del Comune, in cui è raffigurato “un lupo tenente nella bocca un neonato in fasce” rievoca l’accaduto.
Giovanni Battista restò orfano del padre all’età di quattro anni. Poco più che bambino divenne chierico in Varallo. Più tardi abbandonò lo stato chiericale per dedicarsi ad attività che già l’avevano assorbito negli anni in cui era un uomo di Chiesa.
A fianco di impegni amministrativi aveva coltivato studi storici e letterari. Tra i lavori giovanili sono ricordati un romanzo eroico pubblicato a Milano nel 1667 (La Rassolina…), una storia del Sacro Monte di Varallo, edita nel 1671 (La Nuova Gerusalemme) e una storia preziosa della Valsesia, oggi rarissima (La Valle Sesia descritta, 1672).
Nel dicembre del 1672, per conoscere “le magnificenze dei regni e dei principi” partì alla volta della Francia. Del viaggio e del lungo soggiorno francese resta un diario che ne rivela le doti di memorialista puntuale e informato.
La presenza a Parigi - dove amò farsi chiamare Fassola Visconti, conte de St. Mayeul - non passò inosservata: in breve tempo entrò in relazione con l’alta società e i grandi della corte. A spianargli la strada di queste conoscenze privilegiate, non furono il proprio mestiere di storico o di letterato o la sua estrazione sociale, bensì la fama di indovino, astrologo, grafologo, rabdomante e le capacità di guaritore che gli erano attribuite. Fu al servizio, si può dire, del generale Louis-Joseph di Borbone-Vendôme, duca di Penthièvre, che si avvalse di lui anche quale agente e informatore.
Non fu soltanto famoso per le arti negromantiche. Fu considerato uno storico insigne, autore, talora usando il nome di Primi Visconti, di opere che godettero della diretta protezione del Re di Francia. In quanto tale, scrisse nel 1682 la Historia della guerra d’Holanda, in seno alla quale la divulgazione di informazioni riservate gli procurò un periodo di prigionia alla Bastiglia, anche se si ritiene che quanto lui scrisse, scabroso sul piano politico internazionale, fosse dovuto alla volontà del Re stesso e che la sua prigionia non sia stata altro che una messinscena, in seguito ben remunerata.
A proposito dei nomi che si fece attribuire, fu conosciuto, oltre che quale Primi Visconti, con non fondati titoli nobiliari, sicché si faceva chiamare, evocando i propri luoghi d’origine, conte di San Maiolo visconte della Sorba (vicomte de La Sourbe) o, ancora, conte di Rassa.
Fu un notevole realizzatore di imprese editoriali (l’almanacco Le Pescheur fidèle da lui ideato ebbe enorme e duraturo successo in tutt’Europa), viaggiatore instancabile e cartografo.
Rientrato in patria dopo la liberazione dalla Bastiglia fu nominato reggente della Valsesia, dove assunto stabilmente il titolo di conte Fassola, ebbe ampi poteri, fu committente d’arte, dimostrò, operando concretamente per il miglioramento delle condizioni di vita ed economiche degli abitanti, notevoli capacità di politico, amministratore e tutore dell’ordine pubblico che era talora turbato da conflitti tra alcune principali casate locali.
L’appoggio da parte di vasti strati della popolazione non fu sufficiente a porlo al riparo da un conflitto con una parte dei ceti dominanti valsesiani. L’organizzazione militare paesana che aveva creato, prendendone il comando, offrì un pretesto per accusarlo di operare a favore della Francia al fine di sottrarre la Valsesia al dominio della Spagna. L’arresto ordinato dal governatore spagnolo di Milano nel 1684 fallì nonostante i numerosi tentativi e l’allettante taglia posta sulla sua testa.
Vero eroe popolare per i suoi contemporanei non fu tradito. Le autorità spagnole si rivalsero sul suo patrimonio, che, dopo il saccheggio delle case che possedeva in Varallo e Rassa fu interamente sequestrato e venduto. Un coevo pamphlet difese il suo operato quale reggente, accusò i suoi nemici di criminose soperchierie e difese la veridicità dei suoi titoli nobiliari, soggetti a contestazioni.
Le angherie subite indussero [o costrinsero] il “conte Fassola di San Maiolo” a rientrare in Francia, dove riprese l’attività di storico ufficiale del Regno e ottenne lettere di naturalizzazione.
Si parlò ancora molto di lui in occasione delle burrascose nozze, ostacolate dalla famiglia, con Marguerite Léonard, figlia di un libraio ed editore proverbialmente ricco. Oltre alle molte opere edite ha lasciato numerosi manoscritti e memorie che non cessano di suscitare l’interesse degli storici.
* Storico, scrittore, vice presidente del Centro Studi Piemontesi