di Gustavo Mola di Nomaglio*
Nella storia del Piemonte e poi dell’Italia unita degli ultimi due secoli s’incontra senza soluzione di continuità, tra i principali protagonisti di avvenimenti politici e militari di determinante importanza, il nome almeno di un rappresentante dei Cadorna.
Alle vicende della famosa famiglia piemontese sono stati recentemente dedicati studi e nuovi approfondimenti, fra i quali il saggio di Silvia Cavicchioli “L’eredità Cadorna. Una storia di famiglia dal XVIII al XX secolo” (Pubblicazioni del Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Carocci editore, Є 34,09) in cui l’autrice ricostruisce, in un contesto in cui “nessun personaggio è protagonista assoluto” un’attraente storia di lungo periodo, che pone al centro il complessivo succedersi delle generazioni, rileggendo le singole biografie nel contesto della continuità della famiglia e della “grande” storia da essa intersecata.
I Cadorna sono originari di Pallanza, dove se ne trovano memorie antiche. Le più remote attestazioni del cognome, seppur non ancora esattamente nella forma attuale, risalgono al ‘300, in relazione alla costruzione della Chiesa della Madonna di Campagna, finanziata dalle famiglie dette “delle tre C” di Pallanza (Cadorna, Cadolini e Caianini).
La genealogia può essere delineata senza interruzioni essenzialmente a partire dall’inizio del XVI secolo. Anche se reputati nobili ab antiquo, i Cadorna ottennero un ufficiale riconoscimento di nobiltà nel 1907, soltanto “per possesso di stato” del richiedente, nonostante la vasta documentazione prodotta, esito di coinvolgenti e fascinose ricerche lungo i rami dell’albero genealogico, mirasse a un riconoscimento “per antico possesso”.
Per una famiglia che aspirava, pur potendo procurarsi in quattro e quattr’otto titoli nobiliari anche più roboanti di quelli già ottenuti (“nobili fiorentini” nel 1860, “nobili romani” nel 1870 e conti nel 1875) soprattutto al riconoscimento di un’antica nobiltà, la delusione dovette essere cocente, anche perché i Cadorna vivevano, come si diceva un tempo, “nobilmente” già in anni remoti: le ricerche d’archivio lo documentano attraverso le occupazioni dei diversi rappresentanti della famiglia, le alleanze matrimoniali, il possesso di sepolcri gentilizi e di giuspatronati.
Nel 1630, la casa dei Cadorna a Pallanza (in cui fu ospite il cardinale Federico Borromeo, arcivescovo di Milano) fu teatro di un evento considerato -anche dopo indagini e perizie non ingenue- miracoloso.
La sera di martedì 17 dicembre la figura di San Carlo Borromeo, dipinta su una tela appesa alla parete di una sala, iniziò a lacrimare copiosamente. L’evento si ripeté la mattina seguente ancora in casa Cadorna e poi, in presenza di numerosi testimoni, nel vicino monastero dei padri cappuccini. Ogni tentativo di asciugare le lacrime risultava inutile. I pallanzesi furono a lungo fieri di questo evento, mentre i Cadorna in particolare si sentirono di generazione in generazione come predestinati a qualcosa di grande e spinti, in qualche modo, a distinguersi.
E non si potrebbe dire che non ci siano riusciti, soprattutto a partire dal primo ‘800. Carlo (1809-1891), discepolo del Romagnosi e amico di Gioberti combatté a fianco di Carlo Alberto sul campo di battaglia di Novara e rappresentò il governo nei negoziati per la tregua. In seguito, ebbe importanti ruoli nella politica piemontese e italiana. Fu, tra l’altro, presidente della Camera dei deputati subalpina (1857), prefetto di Torino, ministro dell’Interno nel gabinetto Menabrea e presidente del Consiglio di Stato (1875).
Raffaele (1815-1897), fratello di Carlo, divenuto generale per abilità militari e atti di valore fu il comandante del “corpo d’esercito” che occupò lo Stato Pontificio. Il suo modo di operare contribuì a limitare enormemente il numero delle vittime del conflitto. Entrato in Roma ne fu il primo governatore, sino all’annessione al Regno d’Italia.
Luigi (1850-1928), figlio di Raffaele, è forse il personaggio più celebre. Percorsa una brillante carriera militare divenne capo di stato maggiore dell’esercito alla vigilia della prima guerra mondiale. Fu lui, in quanto comandante supremo, il capro espiatorio per la disfatta di Caporetto. In seguito la sua opera e la sua azione nell’organizzazione dell’esercito furono rivalutate, al punto che nel 1924 fu richiamato in servizio col grado di Maresciallo d’Italia.
Altro notevole personaggio fu l’unico figlio maschio di Luigi, Raffaele (1889-1973), generale di cavalleria, comandante della Scuola di cavalleria di Pinerolo, poi della divisione corazzata “Ariete” e, dopo l’8 settembre 1943, del Corpo Volontari della Libertà.
* Storico, scrittore, vice presidente del Centro Studi Piemontesi