Proposte | 03 febbraio 2023, 15:56

Quella bella Stellina, che non ha brillato

Quella bella Stellina, che non ha brillato

di Francesco Amadelli*

Al Salone dell’Automobile di Torino del 1963 fa il suo debutto una nuova e per certi versi rivoluzionaria vettura. Potremmo dire che è nata una stella, anzi una stellina e porta il marchio Autobianchi.

Nel gennaio del 1955, l’allora direttore generale della Bianchi, Ferruccio Quintavalle, ebbe un’idea innovativa per risollevare l’azienda dai disastri della guerra: creare una società paritetica fra Bianchi (già produttrice di biciclette e automobili, in costante declino), Pirelli e Fiat, per la produzione di uno spider giovanile e dai bassi consumi, da gettare sul mercato avido di novità e in grado di portare l’automobilista italiano in vacanza con il vento fra i capelli. Niente sigle, né nomi inglesizzanti: si chiamerà “Stellina”.

La vera novità consisteva nel materiale utilizzato per la carrozzeria: vetroresina, cioè plastica nella quale veniva immessa una parte vetrificata tale da renderla leggera, robusta, capace di smorzare le vibrazioni, resistente alla corrosione e con bassa conducibilità elettrica.

Erano anni nei quali si pensava alla plastica come il materiale capace di risolvere a basso prezzo  qualsiasi problema fosse termico, meccanico o produttivo della risorta industria italiana (ricordate? le azioni Montecatini crescevano di valore ogni giorno un po’). La vetroresina viene utilizzata tuttora per la costruzione di scafi nautici.

Facciamo un passo indietro. Il capitale sociale dell’Autobianchi fu abbastanza modesto: 3 milioni di lire, i tre soci evidentemente non si dimostrarono particolarmente fiduciosi sul futuro della neo-nata azienda; in seguito, visti i successi della Bianchina, cambiarono idea. Nel 1958 il capitale fu portato a 6 miliardi.

Presidente fu nominato Sergio Bianchi, amministratore delegato Ferruccio Quintavalle, consiglieri di amministrazione Luigi Gayal de la Chenaye per la Fiat, Franco Brambilla e Corrado Ciuti per la Pirelli e, infine, Emanuele Dubini. Insomma Fiat e Pirelli non si esposero fortemente lasciando la conduzione a coloro che la Bianchi già la conoscevano. Sede produttiva rimase lo stabilimento di Desio in Brianza.  

La Stellina era dotata di un motore 4 cilindri (della Fiat 600 D ultima di tale modello, priva dei difetti che avevano caratterizzato la prima versione) di 767 cc e 29 CV, 4 marce + RM, freni a tamburo sulle 4 ruote, sospensioni a ruote indipendenti, velocità massima 115 Km/h.

Avrebbe avuto tutte le carte in regola per sfondare sul mercato ma il prezzo di 993.000 lire la rendeva vettura troppo esclusiva per la scarsa dotazione interna a cui si suppliva con una serie di optional che la rendevano ancor più costosa.

Nel 1965, due anni più tardi, visti gli scarsi successi commerciali, la dirigenza pensò bene di aumentare la potenza del motore portandolo a 792 cc con piccole modifiche al motore che arrivò così a poco più di 31 CV di potenza. Dietro l’angolo era in agguato la 850 spider di Bertone con meccanica più innovativa e maggior potenza.

La stellina nacque piccola e come tutte le stelle nane fu destinata a scomparire inghiottita da astri più grandi. Col senno di poi possiamo considerarla innovativa per i tempi, rimanendo confinata nei pochi modelli sperimentali accettati e prodotti dalla Fiat.

Rimane un ultimo dubbio: al giorno d’oggi la carrozzeria in vetroresina avrebbe superato i crash-test adottati per testare la salvaguardia dei passeggeri? E inoltre come sarebbe stata accolta dal vasto mondo ecologista (o finto tale) pronto a lanciare strali contro la plastica considerata inquinante? Non sappiamo; fu prodotta in soli 500 esemplari e ancora oggi rivedendola ci sentiamo più giovani per quell’aria sbarazzina di cui sono prive le vetture attuali.

* Storico dell'auto, scrittore