Notizie - 08 gennaio 2023, 10:33

Per la Sanità pubblica 4 miliardi in più

Per la Sanità pubblica 4 miliardi in più

Per il 2023, le risorse per il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) sono previste in aumento di 4 miliardi rispetto al 2022, ammontando così a 128 miliardi. Lo scrive Francesco Scinetti sull'Osservatorio Cpi (Osservatorio conti pubblici italiani), precisando che delle ulteriori risorse, la maggior parte (1,4 miliardi) andrà a coprire i maggiori costi delle fonti energetiche mentre 200 milioni saranno destinati all’aumento degli stipendi degli operatori del pronto soccorso.

Pur contando su un aumento consistente di fondi, rispetto all'esperienza degli anni pre-Covid quando il finanziamento è aumentato di 1 miliardo all'anno, è solo il 3% in più nonostante l’inflazione abbia raggiunto a novembre quasi il 12 per cento su base annua.

“L’approccio che sembra essere stato adottato dal nuovo governo è quello quindi di dare precedenza ad altre misure (gli aiuti a famiglie e imprese per i rincari energetici) destinando al Ssn solo le risorse che ci possiamo permettere” commenta Scinetti, .

Guardando alle tendenze di lungo periodo, fra il 2000 e il 2023 la spesa è quasi raddoppiata in termini nominali, da 68 a 131 miliardi di euro. Tuttavia, se si considera la spesa al netto dell’inflazione, l’aumento si riduce al 19%. L’aumento in termini reali si è verificato tutto nei primi anni del secolo. Dopo la crisi finanziaria del 2008 e la successiva crisi dei debiti sovrani in Europa si osserva una riduzione seguita da un lungo periodo di stabilità, che si è concluso solo nel 2020 con l’esplosione della pandemia.

“Questo aumento in termini reali rispetto al 2000 probabilmente non basta a tenere il passo con la crescente domanda di servizi sanitari. Basti pensare – riporta l'Osservatorio Cpi - che negli ultimi 20 anni gli over 65 sono aumentati di 2,5 milioni”.

In base agli stanziamenti della legge di bilancio, la riduzione della spesa al netto dell’inflazione continuerebbe anche negli anni successivi. Ma occorre tenere conto che, ormai da molto tempo, ogni anno la legge di bilancio stanzia fondi addizionali per la sanità rispetto a quanto già previsto. Si tratta di una cattiva prassi, che impedisce agli operatori di programmare l’attività per gli anni a venire. Ma è una prassi seguita da tutti i governi eche riflette lo stato di grande precarietà delle finanze pubbliche indotta dall’elevato livello del debito pubblico e dalla bassa crescita dell’economia.  

Considerazioni analoghe si ottengono guardando al rapporto fra spesa sanitaria e prodotto interno lordo. L’incremento dei primi anni Duemila è estremante significativo: fra il 2000 e il 2009, il rapporto spesa/Pil è salito dal 5,5% al 7,1. Questa crescita della spesa sanitaria, concentrata soprattutto in alcune regioni che sono state poi sottoposte a Piano di Rientro (in alcuni casi, con un commissario esterno) a partire dal 2007, ha contribuito alle difficoltà finanziarie del Paese. Negli anni successivi si sperimenta un faticoso rientro, ma il rapporto spesa/Pil è rimasto sempre su valori ben più alti di quelli dell’inizio del decennio.

Dopo l’impennata del 2020-2021, la riduzione che si è registrata nel 2022 avrebbe riportato il rapporto spesa/Pil attorno ai valori massimi del 2009 (7%). Nel 2023 si scenderebbe al 6,6 per cento, che rimane comunque uno dei valori più elevati dell’ultimo ventennio.

Alla riduzione del finanziamento e della spesa sanitaria corrente in termini reali rispetto al 2022, si accompagnano tuttavia le risorse e le riforme previste dalla Missione Salute (M6) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

Rispetto alla dotazione totale di 191,5 miliardi di euro da investire tra il 2022 e il 2026, il Pnrr destina ben 15,6 miliardi (8,2%del totale) alla sanità (oltre alle risorse, comprese nelle altre missioni, che hanno influenza sulla tutela della salute).

In particolare, la Missione 6 ha l’obiettivo di diffondere nuovi modelli per la tutela della salute attraverso lo sviluppo di diverse innovazioni organizzative. Da un lato, lo sviluppo di reti di prossimità, di strutture intermedie e della telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale; dall’altro lato, la promozione dell’innovazione, della ricerca e della digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.

In particolare, gli interventi della prima componente mirano a rafforzare le prestazioni erogate sul territorio tramite: il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità); il rafforzamento dell’assistenza domiciliare; lo sviluppo della telemedicina; una più efficace integrazione tra tutti i servizi sociosanitari.

“Sul fronte delle riforme, il DM 77/2022 ha già definito i nuovi modelli e i nuovi standard per l’assistenza territoriale coerentemente con quanto previsto dal Pnrr” scrive Scinetti, evidenziando che, a oggi, l’implementazione di questo modello è molto differenziata sul territorio: in totale si dichiarano attive 493 Case della Salute (di cui il 56% nel Nord) e 163 Ospedali di Comunità (di cui il 74% nel Nord).

Tuttavia, il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, ha espresso più volte le sue perplessità in merito alla questione delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità, sostenendo che, una volta terminati i fondi del Pnrr, diverrà insostenibile finanziare i costi ingenti per mantenerle sia da un punto di vista energetico che dal punto di vista del personale.

Il problema principale riguarda il fabbisogno di personale per l’attuazione della riforma, la cui spesa deve essere finanziata dal fabbisogno sanitario nazionale standard. La Missione 6 prevede, infatti, 1.350 Case della Comunità, 600 Centrali Operative Territoriali e 400 Ospedali di Comunità, per un totale di circa 18.350 infermieri, 10.250 unità di personale di supporto, 2.000 operatori socio-sanitari e 1.350 assistenti sociali.

Per il sottosegretario, la soluzione ottimale sarebbe quella di puntare sul potenziamento della rete dei medici di famiglia e delle farmacie già presenti sul territorio, evitando così di creare dei duplicati come le Case e gli Ospedali della Comunità con tutte le criticità che esse avranno.

Questa posizione si contrappone a una visione alternativa, che vede proprio i medici di medicina generale come attori chiave delle nuove Case e dei nuovi Ospedali di Comunità. “Al momento, però – conclude l'Osservatorio Cpi - sul fronte della riforma della medicina territoriale non si registrano grandi passi avanti”.


Ti potrebbero interessare anche:

SU