Per l’anno venturo le previsioni economiche non sono rosee: rispetto al 2022 la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi e ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, almeno di 63 mila unità. Il numero complessivo dei senza lavoro, infatti, nel 2023 sfiorerà la quota di 2.118.000.
In termini assoluti, le situazioni più critiche si verificheranno nel Centro-Sud: ripartizione che già oggi presenta un livello di fragilità occupazionale molto preoccupante. Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania e Siracusa saranno le province che registreranno gli incrementi maggiori. A scriverlo è l’Ufficio studi della Cgia sulla base di una elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometeia.
Ma la situazione sarà pesante anche nel Nord Ovest: nella provincia di Torino i disoccupati saliranno da 68.547 a 70.539 (+1.993), nell'Alessandrino da 12.948 a 14.076 (+1.128) e nella provincia di Genova da 25.805 a 26.756 (+951).
Nell'intero Piemonte i disoccupati saranno 4.355 in più (da 120.979 a 125.334), in Liguria 918 in più (da 49.179 a 50.089) e in Valle d'Aosta 114 in più (da 4.204 a 4.318). Secondo le previsioni, perciò, l'anno prossimo il Nord Ovest conterà quasi 5.400 disoccupati più di quest'anno, diventando così 104.500.
Tornando alle province, ecco quelle dove i disoccupati aumenteranno maggiormente in termini assoluti: Verbania (+249), Biella (+244), Vercelli (+231), Asti (+185), Novara (+180), Cuneo (+146), Imperia (+82). Nel Verbano-Cusio-Ossola ammonteranno a 3.962, nel Biellese a 4.396, nel Vercellese a 5.468, nell'Astigiano a 6.248, nel Novarese a 10.337, nel Cuneese a 10.308 e nella provincia di Imperia a 8.708.
Soltanto in due province del Nord Ovest l'anno prossimo diminuiranno i disoccupati: La Spezia (-55 rispetto a quest'anno) e Savona (-60). Qui i disoccupati scenderanno a 6.863 nello Spezzino a 7-770.
Ancorché influenzata dai rientri nel posto di lavoro dei cassaintegrati e dalla stabilizzazione dei contratti a termine, l’Istat ha segnalato che lo scorso mese di ottobre l’occupazione ha toccato il record storico. Un grande risultato che, comunque, potrebbe invertirsi nel giro di qualche mese. Nel 2023, infatti, il tasso di disoccupazione in Italia è destinato a salire all’8,4%. Un livello, comunque, che torna ad allinearsi con il dato del 2011; anno che ha anticipato la crisi del debito sovrano del 2012-2013.
Il Centro-Sud sarà la ripartizione geografica più “colpita”: l’incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58% del totale nazionale. A livello provinciale le 10 più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993).
Poche le province che, invece, vedranno diminuire il numero dei senza lavoro. Si segnala, in particolare, Perugia (-741), Lucca (-864) e Milano (-1.098).
Sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i settori che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare comunque di capire che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali. tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell’alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte.
Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori, altre difficoltà interesseranno i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative.
Secondo gli ultimi dati presentati dall’Istat, dal febbraio 2020 (mese pre Covid) fino a ottobre 2022 (ultimo dato disponibile), i lavoratori indipendenti (sono inclusi anche i soci di cooperative, i collaboratori familiari, etc.) sono scesi di 205 mila, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377 mila. Certo, tra questi ultimi, registriamo, in particolar modo, l’incremento del numero degli occupati con un contratto a tempo determinato, tuttavia questa comparazione ci evidenzia che la crisi pandemica e quella energetica hanno colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili.
Ricordiamo, infatti, che hanno pochissime tutele: rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr e tredicesime/quattordicesime. In caso di difficoltà momentanea non hanno né Cig né, in caso di chiusura dell’attività, di alcuna forma di Naspi. Inoltre, come ricorda sempre l’Istat, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.
La chiusura di tantissime piccole attività economiche è riscontrabile anche a occhio nudo; basta girare a piedi per accorgersi che sono sempre più numerosi i negozi e le botteghe con le saracinesche abbassate 24 ore su 24. Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è molto forte.
Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle nostre città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà.
Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche i liberi professionisti, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le città stanno cambiando volto: con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento.
La moria di attività sta colpendo anche coloro che storicamente sono sempre stati in concorrenza con i negozi di vicinato; ovvero i centri commerciali. Anche la Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) è in difficoltà e non sono poche le aree commerciali al chiuso che presentano intere sezioni dell’immobile precluse al pubblico, perché le attività presenti precedentemente hanno abbassato definitivamente le saracinesche