Sebbene negli ultimi mesi i prezzi delle materie prime siano in calo, l’importazione di questi prodotti potrebbe costare quest’anno all'Italia almeno 80 miliardi di euro in più rispetto al periodo pre Covid. A sostenerlo è l’Ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre.
I prezzi dei metalli e dei minerali, ad esempio, in questi ultimi tre anni sono rincarati mediamente del 25,7%; quelli energetici, invece, sono raddoppiati (+101,3%). Va tuttavia segnalato che, tra gli energetici, l’aumento del prezzo del carbone è stato del 463,3% e del gas naturale addirittura del 671,6%. Più contenuti, invece, i rincari registrati dal ferro (+4,6%), dallo stagno (+16,8%), dallo zinco (+21%), dal nickel (+29,3%), dall’alluminio (+30,7%), dal rame (+32,9%) e dal petrolio (+57,7%).
Sempre rispetto al 2019, tra le materie prime prese in esame dalla Cgia su dati della Banca Mondiale, solo il piombo ha subito una diminuzione del prezzo dell’8,4 per cento.
Più in generale, dopo un 2019 segnato da una sostanziale stabilità dell’indice dei prezzi di questi due gruppi di commodity, a partire da febbraio del 2020 (con l’avvento del Covid-19 e la conseguente riduzione della domanda mondiale) si è assistito a una flessione dei prezzi (più marcata per l’energia) che culmina nell’aprile del 2020.
Da maggio 2020, invece, si registra una escalation tendenziale degli indici dei due gruppi che prende sempre più forma nei mesi successivi a seguito della ripresa economica mondiale. Questo trend, infine, si è interrotto, significativamente, solo ad aprile 2022 per i metalli e a settembre 2022 per l’energia.
Si nota, altresì, che nel 2019, il prezzo dei due gruppi di commodity risultava ben al di sotto dei livelli medi del 2010, in quanto dopo la crisi del 2009 si è assistito (come accade solitamente dopo una forte recessione) a un aumento progressivo dei livelli dei prezzi che ha azzerato del tutto le diminuzioni verificatesi nel periodo della recessione e ha riportato i prezzi su livelli superiori a quelli pre-crisi (2008). Da ultimo si nota anche che, per i metalli, l’indice dei prezzi del mese di ottobre 2022 risulta di poco inferiore rispetto al dato medio del lontano 2010; nonostante il sensibile calo degli ultimi mesi i prezzi dell’energia rimangono invece su livelli molto alti che, in ottobre, erano doppi rispetto allo stesso periodo del 2019.
Ad aver sicuramente spinto all’insù i prezzi delle materie prime ha concorso anche il costo dei noli marittimi dei container che sebbene nell’ultimo anno abbia subito una contrazione media del 68%, rispetto all’avvento della pandemia è cresciuto del 170% . Va ricordato che il 90% circa del trasporto internazionale di merci viaggia per mare e un ruolo determinante nel trasporto container è tenuto dai Paesi dell’estremo oriente. La Cina, ad esempio, con 14 porti nella top 20 generale controlla oltre il 54% del mercato mondiale.
L’incremento dei prezzi delle materie prime ha provocato il conseguente aumento dell’inflazione che nel nostro Paese ormai viaggia su doppia cifra. Questa situazione, ovviamente, colpisce tutti; in particolar modo i contribuenti a reddito fisso che subiscono una forte perdita di potere d’acquisto. Con “meno” soldi in tasca, evidentemente anche la domanda interna è destinata a ridursi. Gli ultimi dati previsionali presentati dalla Commissione europea, ci dicono che nel 2023 i consumi delle famiglie italiane sono destinati ad aumentare di un impercettibile 0,1% che, indirettamente, penalizzerà anche le imprese e i lavoratori autonomi. Se buona parte dei consumatori non acquista è del tutto superfluo anche produrre. Pertanto, per uscire da questo circolo vizioso non c’è che una strada da percorrere: quella della riduzione del cuneo che consenta alle busta paga di diventare più “pesanti”.