Catonarie - 27 settembre 2022, 10:42

Ecco i primi ostacoli del futuro governo Meloni

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

di Ernesto Auci*

Per la prima volta dal dopoguerra, la destra-destra guidata da Giorgia Meloni conquisterà la presidenza del Consiglio dopo aver trascinato alla vittoria la sua coalizione, anche se Lega e Forza Italia escono dalle urne piuttosto ammaccate.

Meloni è brava e furba. Non a caso la sua prima dichiarazione è stata moderata, ha richiamato la responsabilità di governare nel nome dell’intero paese e non solo del suo partito. Ma arriverà a Palazzo Chigi in un momento molto difficile per le tensioni internazionali, l’inflazione alle stelle, una recessione economica alle porte. Non solo: anche la campagna elettorale ha lasciato strascichi che possono ostacolare il cammino del Governo.

Salvini non ha trovato di meglio che gettare la responsabilità del magro risultato della Lega sul fatto di aver appoggiato il governo Draghi su suggerimento di alcuni dei suoi consiglieri, a cominciare da Giorgetti. Per rifarsi ha subito intimato a Draghi di non prendere provvedimenti in questo mese che manca dall’insediamento del nuovo governo, e soprattutto di non fare nomine negli enti pubblici. Insomma, Salvini vuole rifarsi dalle delusioni elettorali rivendicando una parte del bottino delle aziende pubbliche. Non un buon viatico per Meloni.

Nel Sud, Conte ha dato fondo a tutte le sue qualità di demagogo. Ha promesso un sussidio a tutti e ha incassato una marea di voti. Ora si permette di rimproverare Draghi per non aver voluto aderire alle sue richieste di maggiori sussidi, di bacchettare il Pd per non averlo seguito nelle politiche sociali, di promettere una opposizione durissima al governo della destra.

Sul lungo termine c’è da dubitare che il Sud, che ha votato per la prima volta contro i vincitori delle elezioni, possa incassare veramente qualcosa delle promesse fatte da Conte. Soprattutto, rischia di perdere ancora una volta l’occasione dei fondi europei e di quelli del governo di Roma per girare pagina, innescare un vero e sano processo di crescita economica, l’unico capace di dare un lavoro dignitoso ai suoi cittadini.

L’altro grande sconfitto della tornata elettorale è il Pd. Le cause sono profonde e non possono essere addossate al solo Letta. Il Pd non ha una fisionomia ben precisa, non è né carne né pesce. Chi dovrebbe votarlo è confuso, e quindi si astiene oppure va a cercare con grande libertà ideologica i partiti che meglio sanno interpretare le sue esigenze del momento.

Gli operai che prima votavano Lega, ora hanno votato Meloni, mentre i borghesi, le classi dirigenti di questo paese, non hanno avuto il coraggio di dare una mano alla costruzione di una vera forza politica liberale, quale quella che hanno cercato di fare Calenda e Renzi.

Quelli che per pigrizia o per una malintesa interpretazione del “voto utile” si sono rifugiati nel Pd hanno perso due volte. Hanno impedito un’affermazione più clamorosa di Azione, e non hanno evitato una crisi del Pd che sarà probabilmente anche molto dolorosa. In questo senso, anche la rottura tra Calenda e Più Europa è stata un errore. In coalizione con il Pd per coprire l’ala destra, Bonino non ha potuto fare molto, e nello stesso tempo ha indebolito la formazione liberal-progressista.

Ma al di là del terremoto che il voto porterà nei partiti che hanno perso, quello che balza all’attenzione degli osservatori è che, durante la breve e affannosa campagna elettorale, nessuno ha trovato il modo di parlare di crescita. Nessuno ha provato a spiegare ai cittadini che non c’è sussidio che può durare in eterno e che la vera soluzione per i problemi sociali e per attenuare le diseguaglianze di reddito sta nella possibilità di innescare, e mantenere, un robusto sviluppo della nostra economia.

Questo si potrà fare se la politica economica del nuovo governo punterà decisamente sugli investimenti, a parte le necessarie misure per contrastare il caro energia, evitando di affrontare subito i problemi delle pensioni (che peraltro sono state egregiamente riformate dalla Fornero), della riduzione delle tasse per tutti, o di buttare denari nelle società pubbliche a cominciare da ITA e Monte de Paschi.

Gli investimenti possono essere finanziati dal Pnrr che Draghi ci lascia in eredità perfettamente in linea con il cronoprogramma concordato con Bruxelles, oppure dal mercato privato, se sapremo mantenere una finanza pubblica in ordine (e quindi non faremo sfondamenti di bilancio a cavolo), cosa che ci permetterà di mantenere i tassi d’interesse in linea con quelli degli altri paesi.

Ai privati bisognerà quindi dare un po’ di certezze circa la gestione futura del paese. Bisognerà mettere in cantiere alcune riforme capaci di modificare e rendere più favorevole l’ambiente complessivo nel quale le imprese sono chiamate a operare. Tra queste bisognerà tornare sulla giustizia, dato che le elezioni del CSM dimostrano che la riforma Cartabia non è stata sufficiente.

Alcune minacce lanciate da Meloni nei confronti di Bruxelles (“la pacchia è finita”) proprio quando dall’Europa sono arrivati a nostro sostegno molti denari, sommando il Pnrr al Sure, all’acquisto di titoli da parte della Bce, suscitano non pochi timori. Se a questi si aggiungono le sparate di Salvini e di Berlusconi in favore della Russia c’è il rischio concreto di staccare il nostro paese dagli alleati occidentali lasciandolo in balia delle correnti del Mediterraneo che sembrano preannunciare nuove bufere.

La forza delle cose farà toccare con mano agli italiani la distanza che c’è tra le promesse elettorali, la sfacciata demagogia di certi partiti come i 5 Stelle, e quello che concretamente si dovrà fare. Giorgia Meloni, questo bisogna riconoscerlo, parte con il vantaggio di non aver fatto nei comizi troppe proposte strampalate. Non così i suoi partner Salvini e Berlusconi.

Ci auguriamo che prima o poi l’impatto con la realtà porti gli italiani a voltare le spalle ai pifferai (che non sono magici) per affidarsi a formazioni di persone competenti che non promettono la luna, ma si impegnano ad agire per far progredire il paese e per metterlo al riparo dei tanti imprevisti che possono venire dal contesto internazionale o che possono nascere dall’interno (come le alluvioni, per le quali ci vogliono anni e anni prima di eseguire alcuni banali lavori di messa in sicurezza dell’alveo di un torrente).

Presidente di Firstonline, ex direttore e amministratore delegato del Sole 24 Ore

(per gentile concessione di Firstonline)

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