Catonarie | 27 giugno 2022, 11:32

Come il Piemonte creò 100.000 nuovi posti di lavoro

Tra il 2000 e il 2006 la disoccupazione al 4%, la metà dell'attuale

Mauro Zangola

Mauro Zangola

Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo le considerazioni di sintesi del nuovo studio di Mauro Zangola intitolato “Un quadro aggiornato dello stato di salute del lavoro a Torino”

di Mauro Zangola*

Calato il sipario sugli eventi che si sono succeduti nei giorni scorsi, Torino si trova a dover fare i conti con i problemi di sempre, primo fra tutti quello del lavoro. Dall’analisi dei dati resi noti dall’Istat e dall’Agenzia Piemonte Lavoro (Apl) emergono pochi segnali positivi con tanti “però” e tanti fattori critici vecchi e nuovi. 

Anche a Torino l’occupazione è cresciuta nel 2021 e i dati di flusso ci dicono che la ripresa dell’occupazione è continuata anche nei primi quattro mesi del 2022, almeno per quanto riguarda gli occupati alle dipendenze del settore privato. Un dato, quest’ultimo, confortante ma non particolarmente brillante, che ha risentito molto probabilmente del peggioramento della congiuntura.

La ripresa dell’occupazione nel 2021 ha premiato i lavoratori indipendenti e autonomi. Anche questo è un dato positivo, soprattutto perché attenua l’emorragia di questi lavoratori, che dal 2004 a oggi hanno perso 40.000 posti di lavoro.

I nuovi posti creati a Torino nel 2021 sono tutti appannaggio degli uomini; l’occupazione femminile è diminuita e il divario tra i tassi di occupazione si è ampliato, soprattutto in Città e tra i 35-44enni, un periodo in cui le donne risentono maggiormente delle difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei figli.

Nel corso del 2021, la ripresa del lavoro alle dipendenze nel settore privato ha penalizzato i giovani fino a 29 anni e ha premiato i più anziani di età e in modo particolare gli ultra cinquantenni. Una situazione analoga si è registrata nel 2019, prima della pandemia.

La deriva terziaria di Torino non ha contribuito a creare nuovi posti di lavoro. Ci hanno pensato le costruzioni e l’industria manifatturiera, che, assieme, danno lavoro a meno di un terzo degli occupati e del valore aggiunto prodotto nell’area torinese. Un dato positivo che ha urgente bisogno di essere consolidato per riequilibrare la struttura dell’economia torinese.

Anche a Torino per recuperare il livello degli occupati del 2019 c’è molto da fare, soprattutto nei confronti delle donne, che molto più degli uomini hanno pagato il prezzo della pandemia.

Un tuffo nel passato, in un lasso di tempo nel quale si sono succeduti eventi importanti come le Olimpiadi Invernali del 2006 e tre recessioni, ci aiuta a comprendere meglio l’attuale condizione professionale dei torinesi. Se potessimo tornare indietro sceglieremmo di vivere tra il 2004 e il 2008, quando gli occupati sono arrivati a 955.000 (oggi sono 899.000) e lavorava il doppio dei 15-24enni e il 60% in più dei 15-29enni. Il merito principale di questo boom va sicuramente a Torino 2006. Per capire come si è generato vale la pena riprendere i risultati dell’indagine sugli effetti economici dei giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 realizzata dall’Unione Industriale di Torino e dal Toroc.

Tra il 2000 e il 2006 furono investiti 16,5 miliardi di euro, dei quali 11 furono destinati a “grandi opere”; l’occupazione in quel periodo è cresciuta in Piemonte di 100.000 unità; il tasso di disoccupazione è sceso al 4% (la metà del livello attuale).

Dall’insieme delle considerazioni svolte emerge un messaggio molto chiaro: a Torino non si lavora abbastanza; bisogna lavorare molto di più, bisogna accrescere i tassi di occupazione, soprattutto dei giovani e delle donne; bisogna riequilibrare il sistema economico torinese per migliorare la qualità del lavoro e contenere gli eccessi di precarietà.

C’è un vuoto di iniziative da colmare; un compito di cui deve farsi carico la Città di Torino, che deve supplire alla mancanza di competenze istituzionali con una forte azione politica che si sostanzi in un Piano alla cui redazione e realizzazione tutti devono contribuire. Bisogna agire subito: i problemi sono molto seri, strutturali, mentre non sono del tutto fugati i timori di una nuova recessione.

* Economista, editorialista