Storia & storie | 14 maggio 2022, 08:06

"Bey" Calosso, da Chivasso a servizio del sultano

Il sultano Mahmud II (da Wikipedia)

Il sultano Mahmud II (da Wikipedia)

di Gustavo Mola di Nomaglio*

Rustem Bey fu, nella prima metà dell’800, maestro e riformatore della guardia imperiale turca a cavallo e della cavalleria ottomana. Ruoli di non poco conto, se si considera l’importanza della guardia del sultano, delle milizie a cavallo e dell’equitazione in Turchia. Tuttora ricordato a Costantinopoli, Rustem Bey non nacque, come il suo nome stesso sembrerebbe suggerire, nella capitale della Turchia o in una provincia dell’Impero ottomano, ma nel cuore del Piemonte, a Chivasso.

Il suo nome era Timoteo (Giovanni Timoteo) e portava il piemontesissimo cognome Calosso. Classe 1789, appena compiuti i 17 anni (nel pieno della dominazione francese) colse una delle occasioni che Napoleone offriva con le sue guerre agli uomini di fegato, arruolandosi volontario nell’esercito francese. Fu inquadrato nel 24° reggimento dei cacciatori a cavallo, di stanza a Bassano del Brenta. Fu più volte ferito in battaglia, ottenne il grado di brigadiere, la promozione a maresciallo d’alloggio e divenne ufficiale sul finire della campagna di Russia. Nella battaglia di Lipsia fu aiutante maggiore del generale Sebastiani.

Rientrati i Savoia nei propri Stati, il 20 agosto 1814, si dimise dall’esercito napoleonico, tentando di scambiare, senza successo, le spalline da ufficiale francese con un equivalente grado nell’esercito sardo.

La sua carriera militare è riassunta, a partire dall’arruolamento sotto le bandiere sabaude, da Giorgio Marsengo e Giuseppe Parlato nel “Dizionario dei Piemontesi compromessi nei moti del 1821”: inizialmente dovette accontentarsi della qualifica di furiere nella cavalleria. In breve fu promosso (febbraio 1815) furiere maggiore. Dopo soli tre mesi giunse la nomina a cornetta, poi, l’ultimo giorno dell’aprile 1819, quella a sottotenente.

Quando presero l’avvio i moti del ’21 fu nominato dalla cosiddetta “Giunta Costituzionale” capitano aiutante maggiore. Fallita la ribellione lasciò il proprio reparto e, dichiarato disertore, abbandonò il Piemonte (dove restò la moglie Secondina Tarino di Cossombrato) per esulare dapprima a Losanna, poi in Spagna e in Francia, dove si stabilì a Lione. Di qui chiese di poter rientrare in patria senza ripercussioni, ma non l’ottenne: i tempi non erano ancora maturi per accogliere la sua supplica.

Continuò in seguito il suo peregrinare, soggiornando in Belgio e in Inghilterra, paese da cui prese il mare, congiuntamente ad altri italiani guidati dal colonnello Pisa, alla volta della Grecia, che raggiunse nel luglio 1826. Disgustato –secondo quanto afferma Enrico De Leone nel “Dizionario Biografico degli Italiani” - per il trattamento e l’ingratitudine dei Greci, decise di raggiungere la Turchia, avendo forse avuto notizia che il sultano Mahmūd II intendeva reclutare ufficiali europei, per riorganizzare l’esercito in seguito allo scioglimento del corpo dei giannizzeri.

In Turchia giunse dopo varie vicissitudini, ormai totalmente privo di mezzi, pressoché ridotto alla fame. Un giorno, narra il contemporaneo giornalista piemontese Antonio Baratta, che delle vicissitudini dell’ufficiale chivassese in Turchia fu testimone oculare, Calosso fu notato dal sultano, mentre osservava con attenzione l’addestramento di un reparto della guardia imperiale. Incuriosito dall’evidente interesse e dal piglio militaresco dello sconosciuto il sovrano lo avvicinò. Conosciuta e messa alla prova la sua competenza, Mahmūd II lo nominò capo istruttore della cavalleria. Calosso, che a dire del Baratta “godé nell’animo del sultano autorità somma” ebbe per qualche anno grande importanza, affiancando alle incombenze di colonnello della guardia imperiale a cavallo l’attività di consigliere del sovrano e altre di rilevanza politica e diplomatica. Si vuole che abbia avuto forte influenza sui movimenti riformatori turchi, contribuendo alla formazione intellettuale e politica dei suoi allievi, molti dei quali destinati ad assumere ruoli chiave nella società turca.

In seguito, le gerarchie militari, di cui Calosso criticava l’efficienza, riuscirono a fargli perdere in parte il favore di Mahmūd. Continuò, ciò nondimeno, a essere colmato di onori e ricchezze, pur avendo rifiutato, anche in seguito a pressioni e minacce, di abiurare alla fede cristiana. Negli ultimi anni della propria vita, ottenuto il perdono da Carlo Felice, rientrò in patria, dove morì in una data non precisata successiva al gennaio 1859.

* Storico, scrittore, vice presidente del Centro Studi Piemontesi




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