Storia & storie | 30 aprile 2022, 07:20

L'enigma del casalese Ugo Cavallera, Maresciallo d'Italia

Ugo Cavallero

Ugo Cavallero

di Gustavo Mola di Nomaglio*

Le vicende politiche e militari dell’Italia novecentesca, sino all’instaurazione della repubblica, sono state oggetto di innumerevoli studi generali e specifici approfondimenti. I personaggi, anche di grande rilievo, trascurati o studiati in modo superficiale o incompleto, sono, ciò nondimeno, tutt’altro che rari. Tra questi può essere ricordato anche un grande piemontese, la cui biografia rimane segnata da enigmi privi di soluzione e da interrogativi senza risposta: il Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero, casalese, classe 1880.

Certo non mancano nella storiografia studi biografici a lui dedicati o frequentissimi cenni ai suoi ruoli, talora di determinante importanza. Resta, tuttavia, inedita ampia documentazione che lo riguarda e spesso di lui si è parlato con toni non imparziali, dando origine a letture del suo complessivo operato contrastanti.

Cavallero entrò diciottenne in accademia militare, uscendone nel 1900 sottotenente di fanteria. Dotato di una personalità poliedrica, unì agli studi militari lo studio della matematica pura e tradusse dal tedesco e dall’inglese fondamentali opere d’interesse geografico. Nel 1906 fu insegnante alla Scuola Centrale di tiro di Parma. Nel ‘12 partecipò alla guerra di Libia col grado di capitano. Allo scoppio della prima guerra mondiale fu addetto al Comando Supremo e si avviò a divenire uno dei principali protagonisti delle vicende italiane del XX secolo.

Nel 1917, quale comandante dell'ufficio operazioni, divenne stretto collaboratore di Badoglio. Si devono a lui l’organizzazione della resistenza sul Piave e l’ideazione dei piani della battaglia di Vittorio Veneto. I successi gli consentirono di ottenere, appena trentottenne la promozione a generale.

Dopo la guerra chiese di essere collocato in posizione ausiliaria, rivestendo importanti incarichi in campo politico e industriale. In quest’ultimo ricoprì la carica di direttore centrale della Pirelli e poi di presidente dell’Ansaldo, dalla quale si dimise –non avendo presumibilmente responsabilità personali- a causa della fornitura alla Marina Militare di un incrociatore le cui corazze non erano conformi ai capitolati.

Nel 1924 parve che Cavallero potesse succedere a Armando Diaz a capo del ministero della Guerra ma non se ne fece nulla, pare per dissensi circa l’entità degli stanziamenti in bilancio. L’anno seguente fu nominato sottosegretario per la Guerra e nel 1926 il Re lo chiamò a far parte del Senato. In questi anni si accese tra lui e Badoglio una rivalità violenta. Dopo avere rivestito vari altri incarichi politici e diplomatici, nel 1937 fu richiamato in servizio attivo per dirigere, col grado di generale di corpo d’armata, le operazioni militari in Africa Orientale.

Nel dicembre del ‘40 divenne capo di Stato Maggiore generale, riorganizzando l’apparato militare dalle fondamenta; il 1° luglio ’42 fu nominato Maresciallo d’Italia, carica di cui fu privato dopo meno di un anno. La sua caduta può essere attribuita al bisogno di trovare un capro espiatorio per i disastri militari africani (dove, peraltro, i suoi piani erano stati accantonati a favore di quelli formulati da altri, poi risultati disastrosi) e a feroci opposizioni dei vertici politici e militari. Cavallero era, d’altronde, un personaggio scomodo, dai comportamenti difficilmente prevedibili, ora acquiescente al potere mussoliniano, ora pronto a organizzare cospirazioni contro di esso. Il 25 luglio 1943 fu, senza un’accusa precisa, arrestato per ordine di Badoglio, appena divenuto capo del governo. Nonostante la rapida liberazione per volontà di Vittorio Emanuele III, Badoglio lo fece nuovamente imprigionare sul finire di agosto, questa volta accusandolo di un complotto dai contorni indefiniti, per non dire misteriosi. La liberazione giunse questa volta, subito dopo l’8 settembre, attraverso un colpo di mano tedesco, ma per Cavallero si trattò in realtà solo di un cambiamento di carcerieri.

Dopo averlo fatto “liberare” il maresciallo Kesserling (che pur era al corrente dei complotti anti mussoliniani) gli propose, a nome di Hitler, di assumere il comando supremo delle forze armate della nascente Repubblica Sociale. L’abilità di stratega, l’autorevolezza e la stima di cui godeva nell’esercito, l’inimicizia insanabile con Badoglio, forse addirittura la condizionata lealtà a Mussolini, costituivano per i Tedeschi un insieme di pregi difficilmente sostituibile.

Dopo un rifiuto senza mezzi termini, Cavallero incontrò la sua famiglia per l’ultima volta il 13 settembre. Il giorno seguente fu rinvenuto senza vita, ucciso da un colpo di pistola alla testa, nel giardino dell’albergo Belvedere di Frascati. La sua morte, suicidio secondo alcuni storici, assassinio dei Tedeschi secondo altri, resta avvolta nel mistero.

* Storico, scrittore, vice presidente del Centro Studi Piemontesi



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