Storia & storie - 17 dicembre 2021, 20:10

Ambrosio, il primo "cinematografaro" italiano

Ambrosio, il primo "cinematografaro" italiano

di Francesco Amadelli*

Il 3 dicembre 1870 (la data è incerta) nasce a Torino il primo grande “cinematografaro” italiano ovvero produttore appassionato e ambizioso della settima arte: si chiama Rinaldo Arturo Ambrosio.

Si diploma ragioniere e viene assunto in una ditta di tessuti ma la sua passione è la fotografia, tecnica ancor giovane nata in Francia alla fine del XIX secolo (famoso lo studio del pioniere Tournachon, in arte Nadar). Ambrosio viaggia per l’Europa per apprendere i segreti del mestiere soprattutto del cinematografo parente stretto della fotografia inventato anch’esso in Francia a opera dei fratelli Lumieres.

Nel 1905 fonda a Torino la Ambrosio Film e i suoi primi collaboratori sono Roberto Omegna e Luigi Maggi; i primi stabilimenti sorgono a barriera Nizza e in seguito in via Mantova, non lontano dal Cimitero Monumentale. Le riprese in esterno si svolgono nei campi e nei boschi fra Stupinigi e Nichelino, lontane da occhi indiscreti e in una boscaglia nella quale vengono ambientate pellicole tratte dalle opere di Emilio Salgari: non sarà l’India misteriosa ma ce la mettono tutta perché le assomigli. Roberto Omegna diventerà un valente documentarista arrivando a girare, all’Istituto Cottolengo di Torino, un filmato sulla neuropatologia, scienza in auge in quegli anni grazie a Cesare Lombroso.

Il Vate, cioè Gabriele D’Annunzio, sempre pronto a cogliere ogni spunto pur di apparire davanti all’opinione pubblica viene coinvolto (meglio dire che si propone per farsi coinvolgere) nella stesura di sceneggiature cinematografiche incluse tutte le sue opere; il suo colpo da maestro verrà nel 1914, a opera di Giovanni Pastrone, che lo coinvolgerà nella realizzazione di “Cabiria” per la Itala Film arrivando a farsi pagare la bellezza di 50.000 lire oro.

Roberto Omegna continua la collaborazione con Ambrosio portando a termine “Gli ultimi giorni di Pompei” oltre a un documentario sulla “Vita delle farfalle” coadiuvato da Guido Gozzano; girerà un documentario sulla prima corsa automobilistica in salita Susa-Moncenisio e un altro sulle conseguenze del terremoto che nel 1908 distrusse Messina. Nel 1912 sulle sponde del Sangone gira il film “Il Pellegrino” e l’anno seguente, sempre in riva al torrente divenuto il lago di Como, verranno girate alcune scene de “I Promessi Sposi” nel 40° anniversario della morte di Alessandro Manzoni.

Si sancisce così la convinzione, viva tuttora, che il cinema sia l’arte dell’inganno e la definizione “cinematografaro” viene rivolta un po’ spregiativamente a tutti coloro coinvolti in essa con la convinzione che siano “illusionisti”. Bisogna riconoscere che qualcosa di vero c’è e l’uso delle moderne tecniche di ripresa con l’adozione di computer e attrezzature cibernetiche più o meno avanzate non fa che confermarlo. Oggi i film vengono creati spesso in sala di montaggio con l’utilizzo di avatar ovvero riproduzione di personaggi e attori ormai defunti e riportati in vita tramite inganni tecnici che nulla hanno che fare con il cinema ovvero l’Arte, non l’illusionismo.

In occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, nel 1911, Arturo Ambrosio dirige un film dal sapore patriottico: “Nozze d’Oro”, dal duplice significato: 50 anni dalla formazione dello Stato Italiano e 50 di matrimonio di una coppia composta da un ex-bersagliere e la ragazza gettatasi in suo aiuto, perché ferito, durante la battaglia di Palestro. Il militare si salverà ed eroicamente libererà i commilitoni dall’accerchiamento austriaco; ora potranno raccontare la loro comune disavventura con finale felice e patriottismo trionfante.

La pellicola inizialmente fu accantonata per ragioni politiche data l’alleanza con l’Austria ma tornò in auge allo scoppio della I Guerra Mondiale, quando quest’ultima si trasformò “nell’odiato nemico”. Le riprese avvennero nei campi di Pianezza, nei pressi di Torino,e rimane uno dei primi e più impegnativi lavori della cinematografia italiana; un “colossal” al quale Pastrone si ispirò pochi anni dopo con il suo Cabiria. Il successo fu memorabile sia in Italia sia all’estero (Parigi, Londra e perfino New York) il cinema italiano cominciava a mietere allori e conquistare fama. La critica si espresse in maniera entusiastica affermando fra l’altro:”il film è perfetto sotto tutti i rapporti, come soggetto, come svolgimento, come esecuzione fedele e come messa in scena altrettanto fedele all’epoca cui si riferisce”.

Possiamo dire quindi che Ambrosio fece da battistrada all’Itala Film di Pastrone facendo ricredere gli stranieri circa le capacità artistiche e tecniche degli attori e delle maestranze italiche ritenute fino ad allora piuttosto dilettantistiche. La Francia iniziò a considerarci seri avversari in campo internazionale tanto è vero che una copia originale di Nozze d’Oro è conservata presso la Cinemateque di Toulouse oltre che al Museo del Cinema di Torino.

Intanto Roberto Omegna allarga i suoi interessi acquistando un cinematografo a Torino e compiendo altri documentari sulle montagne piemontesi fino a spingersi in Eritrea per le riprese di un safari al leopardo (la coscienza ecologista doveva ancora nascere) quindi in Argentina, Cina, Russia e altri paesi orientali. Fu un personaggio intelligente, eclettico e dinamico purtroppo i suoi lavori sono andati quasi tutti perduti. Sarà la crisi post-bellica a bloccare la sua attività e a portare la Ambrosio film verso il fallimento nonostante gli innumerevoli sforzi compiuti dai tre soci. Omegna continuerà a girare pellicole fra cui Cenere con Eleonora Duse e moltissimi documentari naturalistici sulla vita delle api e delle farfalle. 

Nel 1926 Roberto Omegna viene chiamato a Roma all’Istituto Cinematografico Educativo (in seguito Istituto LUCE) ove rimarrà 16 anni componendo opere scientifiche di altissimo valore documentaristico per le quali si avvarrà di molti congegni da egli stesso inventati, alcuni dei quali adatti alle riprese subacquee che gli permetteranno di collaborare con l’acquario di Napoli. Saranno anni densi di lavoro, frenetici, di un uomo che ha dedicato l’intera esistenza al cinema in un periodo, quello del ventennio fascista, che lo costringerà a ritirarsi nel 1942. In seguito fu avversato da un’opposizione politica incapace di comprenderne le capacità e la genialità. Morirà a Torino nel 1948.  

Luigi Maggi nacque anch’egli a Torino nel 1867. Fu attore e regista di film muti, pioniere del cinema italiano. Assunto come impiegato alla Ambrosio Film seppe dimostrare doti di attore dopo aver lavorato in una filodrammatica ove si “fece le ossa”. Ottenne piccole parti ne “Gli ultimi giorni di Pompei” e altre pellicole di sapore storico. Il successo arrivò nel 1911 con le “Nozze d’Oro”, il film più impegnativo del produttore Arturo Ambrosio. Anche per Maggi il sodalizio con Ambrosio fu fortunato dato il successo ricevuto in Italia e all’estero tale da richiederlo come attore protagonista in pellicole di altre Case Cinematografiche fra cui la Itala Film concorrente di Ambrosio. Fu scrittore e sceneggiatore. Nel 1925 gira da regista il primo film fantascientifico italiano “La bambola vivente” la cui trama si rivela estremamente interessante e innovativa: uno scienziato (non pazzo) inventa e costruisce un ginoide, ovvero un robot con le sembianze della figlia dell’inventore (il robot con sembianze maschili si definisce androide). Questo viene rubato da un inserviente senza scrupoli, allora la figlia per non deludere il padre si sostituisce al robot. La storia fu condotta con estrema delicatezza mettendo in evidenza l’amore della ragazza per il genitore; sicuramente oggi avrebbe ben altra conduzione. Il soggetto piacque molto e fu copiato dal tedesco Fritz Lang nel suo film espressionista Metropolis, sebbene con altri fini. Si rinnova così la leggenda di Pigmalione innamorato di Galatea, statua femminile da egli stesso creata, tanto da indurre Venere a concederle la vita. I due si ameranno e avranno una figlia, Pafos, ovvero l’isola di Cipro. Incantevole e struggente come tutte le storie d’amore, contiene un’ispirazione  eterna e mitologica che la rende senza tempo. Maggi si ritirerà dall’avventura cinematografica per dedicarsi all’attività di sceneggiatore e attore radiofonico. Morirà a Torino nel 1946.    

Torniamo al nostro personaggio principale: Arturo Ambrosio. Come per tante altre attività il 1° dopo-guerra fu fatale anche per la Ambrosio Film. I gusti delle platee erano cambiati, i rivolgimenti sociali e politici stavano trasformando la società italiana, il pubblico era alla ricerca di qualcosa di nuovo. Ma cosa?

Ambrosio lascia la società anonima da egli stesso fondata e nel 1924 si trasferisce a Roma, diviene direttore generale della Unione Cinematografica Italiana con la quale gira una versione nuova di Quo Vadis? avvalendosi della collaborazione di Gabriellino D’Annunzio, figlio secondogenito e amatissimo dal padre Gabriele. Il nome D’annunzio è difficile da portare ma il figlio sarà all’altezza del compito in quanto studierà recitazione e conquisterà una onoreficenza  durante la I Guerra Mondiale. Anche questa esperienza si dimostra negativa in quanto anche la UCI fallisce costringendo Ambrosio a ritirarsi a vita privata nel 1927.

In effetti si trattò di un lungo intervallo durato fino al 1939 allorchè divenne direttore di produzione della Scalera Film ove rimase fino al 1945. Si tenga presente che Cinecittà, fortemente voluta dal regime, nacque nel medesimo anno: “La cinematografia è l’arma più forte” era scritto all’entrata dello stabilimento di produzione e Mussolini seppe sfruttarne pienamente le potenzialità.

La Scalera Film merita una menzione a parte. Essa nacque nel 1938 su iniziativa di tre fratelli napoletani imprenditori edili: Salvatore, Michele e Carlo Scalera, i quali non avrebbero intrapreso l’attività di produttori cinematografici se non fosse stato lo stesso Mussolini ad “esortarli” assicurando loro l’appoggio del Governo mirato alla realizzazione di pellicole totalmente italiane cioè autarchiche in contrapposizione alle Case straniere specie americane. I fratelli Scalera sono fra i maggiori costruttori edili d’Italia, soprattutto nel Sud, e i loro interessi si spingono fino alle Colonie africane. Immediatamente vengono messi sotto contratto i maggiori attori del tempo da Gino Cervi e Ruggero Ruggeri, dalle sorelle Emma e Irma Gramatica a Luisa Ferida passando per Isa Pola; altrettanto avviene per i registi. Con un parterre del genere supportato da finanziamenti certi e garantiti la strada per i tre fratelli si presenta impegnativa ma certamente in discesa. Si inizia subito con film privi di tematica bellica (quella verrà immediatamente dopo con lo scoppio della Guerra Mondiale) e altri in coproduzione con case straniere: ricordiamo “La grande illusione” di Jean Renoir del 1937 con Jean Gabin, film antimilitaresco e “Les enfants du Paradis (nella versione italiana “Amanti perduti” di Marcel Carné del 1945 con la magnifica Arletty) . Per la precisione I ragazzi del Paradiso, cui fa riferimento il titolo, sono i giovani  che affollavano il loggione dei teatri, sempre pronti a fischiare e criticare ad alta voce la performance degli attori recitanti sul palcoscenico. Splendida la scena del Carnevale di strada alla quale in parte si ispirerà Federico Fellini ne “I Vitelloni” e “8 e mezzo”. La produzione della Scalera fu vastissima avvalendosi fra l’altro di registi come Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini (La Nave Bianca) e Francesco De Robertis (Uomini sul fondo).

Dopo il 25 luglio 1943 i nostri tre produttori si vedranno obbligati a lasciare Roma per trasferirsi a Venezia, alla Giudecca, ove la loro Società già possedeva dei capannoni. Nel dopo-guerra verranno giudicati dal Tribunale per i loro trascorsi fascisti dai quali usciranno parzialmente assolti. Non altrettanto bene andò agli attori Luisa Ferida e Osvaldo Valenti giudicati colpevoli di connivenza con il passato regime e verranno fucilati. Nonostante i tentativi di riprendere l’attività impegnandosi in co-produzioni con Case cinematografiche straniere (anche Orson Welles iniziò una nuova versione di Otello ma l’opera rimase incompleta) la Scalera Film non riuscì più a risollevarsi soprattutto per il mancato appoggio da parte delle banche. L’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) nonostante un intervento del sottosegretario allo spettacolo Giulio Andreotti, rifiuterà ogni appoggio. Il destino della Società è segnato e la Scalera Film fallisce nel 1952 lasciando un patrimonio di pellicole, strumentazione, uomini, mezzi e immobili enorme al quale attingeranno negli anni seguenti altre case produttrici e profittatori di varia specie gettatisi sulla preda come iene.

Alla fine del conflitto Arturo Rinaldo Ambrosio si ritirerà definitivamente dall’attività cinematografica. Morirà in provincia di Torino nel 1960.

Ed ora permettetemi una nota personale: nel 1946 mio padre, di rientro dalla Guerra, fu assunto alla Scalera Film in qualità di giovane aiuto-contabile. A distanza di molti anni egli ricordava ancora con molto rimpianto quegli anni giovanili durante i quali molti artisti si offersero di lavorare per la Scalera per rialzare la produzione. Tutto inutile! Le Grandi Major americane ebbero il sopravvento ed egli fu assunto alla Warner Bros.    



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