- 01 dicembre 2021, 08:22

Gli intellettuali secondo Sabino Cassese

Gli intellettuali secondo Sabino Cassese

di Francesco Amadelli

Le 100 pagine dell’agile libro (“Intellettuali”) di Sabino Cassese, docente alla School of Government della Luiss, ex ministro e giudice costituzionale, oltre che scrittore e opinionista sui maggiori quotidiani nazionali, ci porta a riflettere sulla figura variegata e complessa degli intellettuali. Il termine costituisce anche il titolo del volume che parte da una constatazione apparentemente banale, ma a ben vedere profonda e affascinante dichiarando, senza giri di parole, che per gli intellettuali sono “tempi bui” per l’inquietudine di cui è affetto il mondo. Affidiamoci a loro, agli intellettuali, se pensiamo di “aver smarrito la diritta via”.

Già, ma chi sono gli intellettuali e come riconoscere quelli veri dai tanti che si appropriano di tale definizione? Cassese riconosce la difficoltà nel dirimere una questione antica quanto l’umanità e per riuscirci utilizza una contro-prova: non definisce l’intellettuale per ciò che è, quanto piuttosto per quello che non è. Come nello sviluppo di una lastra fotografica, utilizza il negativo per evidenziare il positivo. Operazione delicata, non priva di ostacoli.

Intellettuale – scrive Cassese, riportando le parole di Eraclito – non è l’erudito, che sa molte cose perché “il sapere molte cose non insegna ad avere intelletto”. Come si producono e si riproducono gli intellettuali? si chiede l’autore, consapevole come la vera fucina sia, solitamente, l’Università, ove la costruzione del pensiero nasce dall’incontro fra il docente e l’allievo.

Cassese giunge così all’argomento più difficile, quello della funzione dell’intellettuale che si rivolge a un pubblico più vasto di quello degli specialisti. Ne elenca sette (ma potrebbero essere di più) con i quali, riferendo le parole di illustri pensatori, richiama gli intellettuali al “dovere etico” derivante dalla loro professione senza risparmiare una stoccata alla stampa giornalistica, colpevole, a suo dire, di illustrare le cose senza far intendere le cose.

“Prima di mettere nelle mani del popolo un potere sovrano, costituente, procuriamoci un popolo istruito, educato, acculturato, competente”: sono parole che suonano semplici, addirittura ovvie, che ottengono il consenso di moltissimi di noi. Ma quanto irreali, improbabili, inapplicabili appaiono alla resa del fatti: la vicenda del Covid nella quale siamo immersi è paradigmatica di un modo di pensare di segno contrario legato al rapporto complesso tra intellettuali e giornalisti.

Cassese ci ricorda come per Saint-Simon “la società deve essere riorganizzata a opera dei dotti, dei sapienti” così escludendo l’intervento dei giornalisti, impegnati nelle vicende attuali e non nella continuità del tempo, di cui è responsabilmente portatore lo storico. L’insigne giurista si chiede se in una democrazia la presenza degli intellettuali possa avere una giustificazione. Parrebbe di no, afferma, ma la democrazia nasce dall’incontro, più spesso lo scontro, dalle idee originate dai “meno ideas” più semplicemente definiti intellettuali.

E’ su un campo muovo che essi devono attestarsi e competere: si chiama Internet. Vero campo di battaglia, sul quale si misurano le loro capacità, in primo luogo la stringatezza, nel quale convergono ascoltatori provenienti da classi eterogenee non use a leggere i quotidiani, quindi forse non preparate ma altrettanto esigenti dei lettori della carta stampata.

Non crediate che gli intellettuali siano dei virtuosi, attacca Cassese, quelli italiani mostrano vizi, il più evidente dei quali è “l’atteggiamento sdegnoso verso la realtà (rifiutandola), optando per la critica distruttiva; per aggiungere subito dopo “la mancanza di umiltà nel ritenersi unto dal Signore”.

Nelle conclusioni finali del libro l’autore sferza gli intellettuali per i difetti e le manchevolezze nelle quali cadono più frequentemente, spronandoli a rileggere (e meditare, aggiungiamo noi) il saggio di Alexis de Tocqueville “La Democrazia in America” scritto quattro secoli or sono e sempre validissimo. Chiudendo il volume al lettore rimane soltanto il sapore dolce-amaro dei suoi pensieri elevati ma utopistici. Niente tristezza, suvvia, le parole e i concetti ci pervengono da Sabino Cassese, ritenuto a buon titolo un grande “intellettuale”. Non possiamo pretendere di meglio.



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