Storia & storie | 03 ottobre 2021, 10:09

La Torino delle sartine in Addio Giovinezza!

La Torino delle sartine in Addio Giovinezza!

di Francesco Amadelli

Il genere teatrale del quale stiamo per parlare è sicuramente fuori moda, ma mantiene ancora una nutrita schiera di estimatori: il romanzo diventa operetta per tramutarsi infine in film.

Il 20 gennaio 1915 venne rappresentata per la prima volta, a Livorno, l’operetta in tre atti “Addio Giovinezza!” (il punto esclamativo è d’obbligo per creare enfasi e aspettativa) di Alessandro de Stefani su musiche di Giuseppe Pietri (il medesimo di Acqua cheta) e tratta dalla commedia omonima di Sandro Camasio e Nino Oxilia, chiamati goliardicamente i dioscuri per l’amicizia indissolubile e il sodalizio letterario creatosi fra loro. Sicuramente al giorno d’oggi i commenti su di loro non sarebbero stati così eleganti, inoltre ne sarebbero seguite inevitabili pesanti allusioni. Anche Giacomo Puccini la elogiò.

La commedia fu riproposta quattro volte sullo schermo e nel 1965 la Rai mandò in onda una versione interpretata da due giovani: Lucilla Morlacchi e Umberto Orsini, interpreti perfetti e sopraffini di una romantica storia d’amore di altri tempi. Il personaggio femminile portava il nome di Dorina, corrispondente a una ragazza amata da Camasio all’inizio del XX secolo; come dire una storia d’amore all’interno di un’altra storia d’amore. Tenerezza, passione e sentimento coinvolgevano tutti: autori, personaggi e interpreti, contribuendo in breve tempo a farne un grande successo di pubblico. Il cinema era alle prime armi, perché non approfittarne?

Il primo film è del 1913, durava poco più di mezz’ora, era in B/N e muto, disgraziatamente andò perduto. Il pubblico entrava in sala già pregustando la storia d’amore fra Mario e Dorina dal finale amaro e lacrimevole ma con una nota di speranza in un seguito lieto fra lo studente universitario e la sartina. L’azione si svolgeva a Torino, ai primi del ‘900, quando la città era la capitale delle sartine, capitale mondiale del cinema e, più in generale, della cultura; la produzione, manco a dirlo, era del geniale astigiano Giovanni Pastrone per la Itala Film.

La proiezione veniva accompagnata in sala dalla musica suonata di solito al pianoforte. La scena del commiato fra i due innamorati è abbinata a un motivo musicale che presto verrà utilizzato con altre parole e altri scopi dal regime fascista: Giovinezza del maestro Blanc (Giovinezza, giovinezza primavera di bellezza). La parte di Dorina fu affidata a Lydia Quaranta divenuta fidanzata di Camasio, il quale morì di meningite a soli 26 anni mentre Oxilia morì nel 1917 in guerra. La parte di Elena (rivale in amore di Dorina sulla scena) andò a Letizia, sorella di Lydia. Il decesso prematuro dei due giovani scrittori/poeti contribuì alla fama del loro romanzo anche all’estero. Lydia Quaranta la reincontreremo pochi anni dopo nel capolavoro di Pastrone. Cabiria. La trama è semplicissima: Mario e Dorina si amano ma a rovinare tutto ci si mette la bella Elena, più matura, più ricca e più scafata di Dorina. Gli innamorati si lasceranno ma forse….. forse……

Sfruttando prosaicamente la morte di Oxilia nel 1918, dietro suggerimento del regista Augusto Genina (utilizzato dal regime per la sua professionalità dimostrata in molti altri film) mise in piedi una seconda edizione del romanzo. La parte di Dorina fu affidata a Maria Jacobini (già fidanzata di Oxilia) mentre Elena fu Elena (!) Makovska. Il film ebbe un percorso contrastato, in quanto parve fosse scomparso come la prima edizione del 1913; invece fu ritrovato addirittura in Giappone, a dimostrazione di come le storie d’amore non abbiano tempo né latitudine; fu restaurato e riportato in Italia. Esso mostra molti scorci della Torino di quel lontano periodo: l’Università di via Po con il grande cortile, il Valentino (assolutamente imparagonabile per bellezza al parco di oggi) la Mole Antonelliana etc.

I tempi cambiano e con essi mode, usi, costumi, cosicchè, nella versione del 1927, viene ritoccata la sceneggiatura da parte di Augusto Genina e la nuova Dorina sarà Carmen Boni, attrice ormai dimenticata, che per l’occasione sfoggerà una pettinatura alla garconne, come era giusto in quegli anni di charleston. Il girato consta di una durata di circa 90 minuti ma a noi ne giungeranno circa 50, è in B/N e, nonostante in America il sonoro cominci a farsi sentire, il nostro sarà ancora muto. Da sottolineare che la fotografia fu affidata a Carlo Montuori la cui carriera continuerà nel secondo dopo-guerra con moltissimi altri registi di spicco.

Nel 1940 esce la quarta e ultima versione cinematografica di Addio Giovinezza! Per la regia di Ferdinando Maria Poggioli con Maria Denis nella parte di Dorina e Clara Calamai in quella di Elena. Il successo ci fu, ma meno del previsto nonostante le ottime critiche dei giornali. Il Corriere della Sera riportò la definizione “eccellentissima” riferita alla recitazione di Maria Denis nel momento migliore della sua carriera. Il viso fresco e pulito, la sua interpretazione giovanile, l’atteggiamento di convinta innamorata ne fecero una diva a tutto campo pronta per prove ancora più impegnative. Versatile e attraente, non ebbe i riconoscimenti che avrebbe meritato causa una presunta relazione con Koch, comandante della famigerata banda torturatrice nazista e dopo il conflitto la sua fama declinò. Si deve a lei se il comunista Luchino Visconti evitò l’arresto senza serbarle però gratitudine, ragione per la quale rimase profondamente amareggiata e decise il ritiro dalle scene.

La vera diva fu Clara Calamai apparsa sullo schermo in tutto il suo fascino, come richiesto dal copione, a proprio agio nella parte della donna priva di scrupolo nel rubare “l’uomo” alla semplice Dorina. A differenza di Maria Denis la carriera della Calamai continuò nel dopoguerra con i dovuti riconoscimenti.

La sceneggiatura in questa ultima versione fu riveduta e portata sullo schermo adattandola ai tempi con dialoghi più moderni senza stravolgere lo spirito del romanzo. Gli esterni furono girati a Torino. ma gli interni a Cinecittà entrata in funzione l’anno precedente. Lentamente, costantemente il primato di Torino città del cinema stava allontanandosi fin quasi a scomparire definitivamente ai giorni nostri a tutto vantaggio di città più meritevoli e intraprendenti quali Bologna. La sua cineteca, con il recupero e il restauro di pellicole italiane e straniere, merita sicuramente l’attenzione dei cinefili consapevoli come l’arte cinematografica non sia composta da oggetti da posizionare sugli scaffali polverosi di un museo ma prodotto artistico da valorizzare e riproporre al grande pubblico con la semplicità e l’attenzione che meritano.

Il messaggio è chiaro ma l’Amministrazione comunale di Torino pare non averlo recepito. Ciò vale anche per altre forme d’arte e del genio creativo italiano in grado di generare fabbriche e siti lavorativi di prim’ordine (moda e auto in primo luogo). Peccato che a Torino siano rimasti inspiegabilmente privi di continuità.

Anche la Rai, troppo spesso ormai e specie d’estate, si limita a riproporre filmati insulsi e talvolta volgari tratti dal suo vastissimo archivio. L’archivio è storia ed essa non si lascia ammuffire sugli scaffali in attesa che qualcuno se ne disfi definitivamente: concetto semplice ma mai preso nella dovuta considerazione.



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