Storia & storie | 21 agosto 2021, 00:15

Il furto della Gioconda, 110 anni fa

Il furto della Gioconda, 110 anni fa

di Francesco Amadelli*

Esattamente 110 anni fa, il 21 agosto 1911, avveniva il furto del secolo. Dimenticanza, distrazione, incapacità, disorganizzazione. Potremmo proseguire ancora alla ricerca del giusto termine poiché tutti si addicono perfettamente al reato commesso quel giorno e per il quale, a tanti anni di distanza, rimangono ancora tante incertezze.

Di Vincenzo Peruggia, colpevole del furto, il dottor Amaldi, psichiatra, ebbe a dire: “un difetto psichico profondo più che esteso della dinamica cerebrale, che si manifesta da un lato nella singola inespressività emotiva ed intellettiva e – ciò che negli effetti è assai più grave – in una povertà di elaborazione logica, in una scarsa capacità riflessiva, in una pochezza decisamente patologica di critica, di conseguenza in una eventuale assurdità della condotta. Un difetto costituzionale certamente innato. Si tratta quindi di un fenomeno d’arresto dello sviluppo psichico, che colloca il nostro soggetto nella categoria dei deficienti”.

La definizione ci appare severa e tranchant nei confronti di uno dei tanti italiani emigrati in Francia alla fine del secolo XIX. Egli si permise e riuscì a trafugare niente di meno che il quadro più famoso del mondo: la Monna Lisa di Leonardo da Vinci. Era al corrente del valore del dipinto, sebbene non commerciabile, ne conosceva anche l’autore e il furto avvenne con modalità semplicissime tanto da far presumere che Vincenzo Peruggia facesse parte di una organizzazione molto più ampia e ramificata di quanto si immaginasse.

La polizia, come sempre avviene nel caso di sottrazione di opere di inestimabile valore, applicò l’unica regola possibile: attese che il famoso ritratto ritornasse alla luce del sole tramite qualche spiata, oppure una semplice indicazione di un rivenditore, un antiquario o un ladro poco desideroso di finire nelle mani della Giustizia. Ci vollero due anni durante i quali il capolavoro pare abbia riposato tranquillamente avvolto da un foglio di carta. La stampa, unico mezzo di informazione del tempo, soprattutto francese, si scatenò in una ridda di supposizioni e accuse, le quali ottennero l’unico risultato di intorbidare le acque e confondere gli inquirenti.

Il libro di Massimo Centini sul furto della Gioconda ci riporta ai quei tempi durante i quali, una volta scoperto il reo, furono in molti a puntare il dito accusatorio contro gli immigrati specie se italiani (in fatto di immigrati oggi gli italiani ne sanno qualcosa!) ma non solo. L’Affaire Dreyfus avvenuto nel 1894 e portato sullo schermo per la prima volta nel 1908 era ancora troppo recente per non lasciare una traccia nell’animo dei francesi. Si cominciò a parlare di complotto giudaico sorto in America, si continuò accusando la Polizia di immobilismo e il personale addetto alla sorveglianza di incapacità palese se non addirittura di complicità nel furto.

Centini ha l’abilità di raccontare perfettamente quale fosse l’atmosfera del tempo incluso l’antisemitismo imperante nell’opinione pubblica francese. Non è un noir, né un giallo né un feuilleton tanto in voga all’epoca: è storia vera che riguarda da vicino anche noi italiani raccontata magistralmente a tutti i lettori inconsapevoli e a coloro che, per spirito di Patria, parteggiano per il povero Peruggia. Alla fine egli non apparirà così deficiente come descritto dallo psichiatra.

Dalla lettura del libro di Centini (“Il furto del secolo – Storia dell'italiano che rubò la Gioconda”) si comprenderà come le opinioni dei lettori siano facilmente manipolabili da un giornalismo di bassa lega, ieri come oggi. Uno scadimento intellettuale che non ci meritiamo.

* Scrittore

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