- 02 luglio 2021, 08:15

Quando Pesenti cedette la Lancia a Gianni Agnelli

Quando Pesenti cedette la Lancia a Gianni Agnelli

di Francesco Amadelli*

Nel 1967 Carlo Pesenti, a seguito di un prestito di venti miliardi ricevuto tramite la Democrazia Cristiana alla quale era fortemente legato, decise di aprire un istituto totalmente nuovo, l'IBI (Istituto Bancario Italiano) comprendente otto altri, tutti di matrice democristiana e gestiti dal senatore Teresio Guglielmone il quale morirà nel 1959 lasciando ampi buchi contabili e di mala gestione, fra questi la Banca Romana, la Banca Naef Ferrazzi Longhi & C. (La Spezia), la Banca Torinese Balbis & Guglielmone (Torino) e la Banca di Credito Genovese (Genova). Grazie all’intervento di Pesenti, il pericolo di un’indagine da parte della Banca d’Italia e di un crollo politico della DC fu evitato.

Nel 1975 l’IBI risultava essere una delle prime banche d’Italia in quanto a depositi e nel 1982 confluì in Caripo (Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde) che lo assorbì totalmente nel 1991. Ma andiamo con ordine.

La Banca Torinese (non ancora Balbis e Guglielmone) nacque il 26 settembre 1939, specializzata in intermediazione di Borsa. I due titolari Vittorio ed Ettore Ovazza non avrebbero potuto scegliere momento peggiore dato che le loro origini ebree li costrinsero a cedere l’attività pur restando soci dei nuovi partners Francesco Balbis e Teresio Guglielmone già titolari di altra banca. Nel 1952 nacque la Banca Torinese Balbis e Guglielmone considerata satellite della nuova e potente Democrazia Cristiana. L’8 giugno 1967 la banca confluì nel Credito di Venezia e del Rio de la Plata confluito a sua volta nell’IBI nel medesimo anno assieme agli altri. Ci siamo soffermati su quest’unica banca in quanto negli anni 50 del secolo scorso agli occhi dei risparmiatori torinesi appariva solida e affidabile nonostante non avesse le dimensioni dei grandi istituti come il San Paolo vera cassaforte della Fiat. Ai torinesi piacciono le banche di piccole dimensioni che considerano solide, familiari e ben gestite.

Nel 1969 Carlo Pesenti dovette subire gli attacchi di Michele Sindona, avvocato con forti ambizioni nella finanza. Non è il caso di parlare del finanziere siciliano ma, dato che il suo obiettivo era quello di rastrellare la maggior quantità di denaro tramite le banche, viene spontaneo chiedersi chi avesse alle spalle. La sua morte nel carcere di Voghera, nel 1986 per via di un caffè avvelenato al cianuro, come avvenuto a Gaspare Pisciotta luogotenente di Salvatore Giuliano per mano della Mafia, fa pensare che il mandante fosse lo stesso. Ciò non fu mai provato ma noi siamo liberi di ipotizzarlo.

La scalata all’Italmobiliare e di conseguenza a Italcementi avrebbe dovuto portare l’avvocato Sindona a impadronirsi della RAS (Riunione Adriatica di Sicurtà) delle banche controllate da Pesenti e altre potenti società iniziando una scalata ad altre imprese fra le quali Bastogi e Banca Nazionale dell’Agricoltura, passata tristemente alla storia per l’attentato definito politico avvenuto nel 1969. Quante coincidenze quell’anno! Che ci fosse un legame con Michele Sindona non lo crediamo, siamo solo liberi di ipotizzarlo.

Venuto a conoscenza delle aspirazioni di Sindona su Italcementi, Pesenti si rivolse al potere politico. Il ministro del Tesoro Emilio Colombo e il Governatore della Banca d’Italia Guido Carli posero il veto a quell’ascesa dai contorni poco chiari. In caso di successo da parte di Sindona la Finanza Italiana sarebbe stata sovvertita totalmente, con buona pace delle grandi famiglie che avevano dettato le regole fino a quel momento.

Sindona si ritirò in buon ordine dopo aver rastrellato in Borsa una notevole quantità di azioni di Italcementi che dovette restituire a Pesenti con un guadagno di circa 15 miliardi di lire che costò a quest’ultimo l’enorme cifra di 50 miliardi di lire. Pesenti a quel punto comprese che era necessario liberarsi delle società non remunerative. L’occhio cadde inevitabilmente sulla Lancia in passivo, in quel momento, di 40 miliardi. Il conto è presto fatto: 50 miliardi dati a Sindona più 40 di passivo Lancia non davano scampo.

Con l’acqua alla gola Pesenti dovette rivolgersi all’unico in grado di comprare un marchio automobilistico senza rivolgersi a un costruttore straniero: la scelta cadde obbligatoriamente su Gianni Agnelli. Pesenti si vide offrire la cifra di una lira ad azione ed ebbe un’ora di tempo per decidere. Il pacchetto azionario passò di mano, ovvero Pesenti fu costretto ad accettare. Ci chiediamo quale sarebbe stata la reazione di Valletta se la compravendita fosse stata gestita da lui in prima persona. Purtroppo Valletta dopo aver lasciato la Fiat morì nel 1967. Nel 1969 Agnelli acquisì la Lancia a un prezzo vantaggioso con metodi sbrigativi. L’acquisto fu gestito con molta discrezione come consono allo stile dell’avvocato Agnelli e non ebbe neppure grande risonanza sui media dell’epoca, onde evitare che la scabrosità di alcune notizie saltassero all’occhio dell’opinione pubblica.

Pesenti pagò lo scotto di decisioni prese da altre persone e da una situazione finanziaria ormai compromessa. Restituì la somma di 50 miliardi con un dissanguamento inarrestabile. A nulla valsero i tentativi di rialzarsi rastrellando denaro tramite due finanziarie off-shore della Banca Provinciale Lombarda (appartenente a Italmobiliare). A questo punto, nonostante le molte indagini compiute a posteriori da enti di controllo preposti a tale incarico, la situazione si fece sempre più oscura con triangolazioni di forti capitali fra società e banche operanti in paradisi fiscali.

Le due finanziarie acquistarono da Sindona il pacchetto azionario di Italcementi giungendo a un indebitamento di 180 miliardi pari al 40% di Italcementi. A tutt’oggi rimane difficile seguire l’andamento tortuoso dei capitali che neppure la Magistratura e la Guardia Finanza riuscirono a chiarire. Il debito di 180 miliardi fu ceduto a Italmobiliare con espedienti che appaiono i rantoli di un corpo ferito mortalmente.

Pesenti trasformò gran parte delle azioni Italcementi in azioni privilegiate i cui titolari, a fronte di un maggior rendimento, non godevano di alcun potere nel Consiglio di amministrazione. Procedette alla vendita di 2 azioni Italmobiliare per 1 azione Italcementi trasformando Italmobiliare da controllata in controllante di Italcementi; come se l’affittuario di un appartamento si ritrovasse dalla sera alla mattina proprietario dell’appartamento stesso senza che il vero proprietario possa fare nulla per impedirlo. In fine arrivò l’ultimo atto del dramma: nel 1979 Pesenti cedette il Credito Commerciale al Monte dei Paschi di Siena e alla Banca Toscana ricavandone 230 miliardi, sufficienti a pagare il debito.

Ma nel 1983 il debito arrivò alla strabiliante cifra di 800 miliardi. Pesenti continuò ad annaspare sempre più e dovette cedere l’IBI, vendette in seguito la Banca Provinciale Lombarda seguita dalla cessione del giornale La Notte. Era chiaro che le continue cessioni non fecero che depauperare il tesoro di Pesenti trovandosi inoltre coinvolto nel crack del Banco Ambrosiano del banchiere Roberto Calvi colpevole, fra le tante cose, di avergli prestato 55 miliardi anziché 20 come stabilito dal Consiglio di amministrazione dell’Ambrosiano. Per ogni falla otturata nella nave di Pesenti se ne aprivano altre due nello scafo.

La nave affondò alla fine del 1984 allorchè Carlo Pesenti fu costretto a recarsi a Montreal in Canada per sottoporsi a un’operazione cardiaca dopo aver sofferto un infarto nei mesi precedenti. Era il 20 settembre 1984 quando Pesenti lasciò questa terra. Con la sua morte le cattive operazioni finanziarie condotte per risollevare la situazione furono presto poste in archivio. Sindona fu avvelenato, Calvi fu impiccato e Pesenti? Siamo sicuri che l’operazione chirurgica fosse andata male? Siamo sospettosi se ipotizziamo un altro epilogo della sua vita?

Vorrei concludere con un ricordo personale legato al giornale La Notte. Mio padre, esperto cinematografaro, tornava a casa tutte le sere con due giornali: La Stampa e la Notte appunto. Quest’ultimo, diretto da Nino Nutrizio, giornalista sportivo di grande razza e coraggio, rappresentava per lui un momento di svago dato che in prima pagina a caratteri cubitali riportava tutte le sere una notizia del tutto inventata, una fake news diremmo oggi, una bufala diciamo noi. Ricordo quando annunciò “Navicella spaziale russa con equipaggio viaggia verso Marte” era il 1958, l’era spaziale era appena iniziata con il lancio del satellite artificiale Sputnik soltanto l’anno prima. Il giornale riportava molte altre notizie di questo tenore. Insomma per mio padre era un vero spasso. L'ultima pagina era destinata ai cosiddetti tabellini nei quali molto succintamente e in maniera telegrafica si descriveva la trama dei vari film in programmazione nelle sale cinematografiche di Milano. Uno di questi era il film “Casco d’Oro” con Simone Signoret e Serge Reggiani, considerato dalla critica internazionale un vero capolavoro, vincitore di molti premi grazie alla regia di Jacques Becker. Insomma i francesi non avrebbero potuto fare di meglio. Narra la storia di un giovane falegname (Serge Reggiani) che, innamoratosi di una bellissima prostituta (Simone Signoret) dai foltissimi capelli biondi riportati sulla testa (da cui il titolo Casco d’Oro) ammazza il rivale in amore con una coltellata finendo poi sulla ghigliottina.

Il tabellino del giornale così riportò la trama: “Falegname innamorato biondina, dalla pialla alla ghigliottina”. Un capolavoro ridotto in sei parole. Mio padre rise per ore nonostante pochi giorni prima fosse stato raggiunto dalla notizia che la Banca Torinese Balbis e Guglielmone era praticamente fallita, ingurgitando parte dei suoi risparmi.

* Scrittore (ultima di tre puntate)




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