- 08 giugno 2021, 08:00

Il Tribunale di Aosta nel romanzo di Catena Ragno

Il Tribunale di Aosta nel romanzo di Catena Ragno

di Francesco Amadelli*

Perché l’uomo si nutre di dolore per raggiungere la gioia: dal dolore nasce la vita, dal dolore di Cristo è nato lo Spirito. Solo vivendo il dolore si apprezza la vita. Perché in fondo l’uomo è vita. Questo l’incipit del libro di Catena Ragno - “Evanescenza. Una storia di giustizia spezzata” (Abra Books Narrativa) - ma non crediate sia un libro di misticismo destinato a coloro che si nutrono di religione. Evanescenza è un racconto fatto di concretezza, ma anche di dubbi e di sospetti, gli stessi che costellano la nostra vita.

Tindara, siciliana trasferita al nord, è la protagonista temeraria del romanzo. Il dottor Vasari, suo superiore alla Cancelleria del Tribunale di Aosta, è il suo punto di riferimento, esempio di onestà e rigore. Catena Ragno mette il dito nella piaga e la piaga è la Magistratura. Pare la conosca a fondo se dopo anni di “onorato servizio” giunge a chiedersi con quale diritto un uomo giudichi un altro uomo senza conoscerlo basandosi soltanto sulle carte. Esse sono manipolabili, quindi mutevoli secondo il desiderio e la volontà di colui che le ha redatte. Colui che amministra la Giustizia, il vero asse portante dell’intero edificio statale come ha ribadito il presidente Mattarella pochi giorni or sono, non dovrebbe limitarsi alle parole e alle carte, queste ultime semplici strumenti apparentemente innocui il cui valore rischia di compromettere l’uomo che ricopre onestamente la funzione di giudice.

Tindara scoprirà che il sacro potere di amministrare la Giustizia è messo in pericolo dalla Politica, virus del quale non esiste vaccino. La sua condizione di donna la espone a ulteriori critiche, alle quali cerca di ovviare con la serietà e l’impegno. Non è sufficiente, ci vuole altro. Occorre battersi contro la Mafia ed essa è maschilista, è nata con gli uomini e vivrà fin quando l’uomo vivrà, pensa Tindara, mentre punta il dito accusatorio contro lo Stato, mostruoso cannibale che divora i propri figli.

Valle d’Aosta e Sicilia così lontane così vicine, ove occorre avere le “conoscenze” per emergere. Tindara vuole essere libera “sebbene” sia donna e madre. I grandi chiedono e la legge del “do ut des” obbliga a obbedire. La fede e la presenza del Papa le infondono quel coraggio di proseguire nell’adempimento del proprio dovere nel Palazzo di Giustizia, senza cedere alla tentazione del facile compromesso con il potere politico, corrotto in Valle d’Aosta come in Sicilia. Tindara riferisce fatti e avvenimenti passati alla cronaca nazionale e inspiegabilmente taciuti. Saranno le menzogne ad abbattersi sulla Cancelleria del Tribunale mentre ella si opporrà al crollo della illusione in una Giustizia giusta rivolgendosi alla fede. Essa sì, incorrotta.

Romanzo coraggioso e penetrante che merita profonda lettura e maggiore riflessione da parte di tutti.

*scrittore

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