| 27 maggio 2021, 09:30

Maggio 1966, l'accordo per la Zhigulì a Togliattigrad

Zhiguli, la Fiat 124 russa

Zhiguli, la Fiat 124 russa

di Francesco Amadelli

Nel maggio del 1966, il ministro dell’Industria Automobilistica dell’URSS, Alexander Tarasov e l’allora presidente della Fiat, Vittorio Valletta (l’anno seguente lasciò l’azienda) firmarono lo storico accordo per la produzione della 124 sovietica chiamata Zhigulì (in Italia verranno messe in commercio delle caramelle con il medesimo nome) nello stabilimento di Togliattigrad. Fino a quel momento l’industria sovietica aveva sfornato 150.000 auto all’anno, adesso nasceva l’ambizione di produrne oltre 650.000. Il topolino stavolta aveva partorito l’elefante. L’imperativo nella fabbrica torinese è “gliela faremo vedere noi di cosa siamo capaci!”

Nel 1970 esce il primo esemplare simpaticamente chiamato “Copeco”, la piccola moneta in circolazione in URSS. Nel 1973 verrà creato il marchio Lada per l’esportazione.

Ai piani alti della Fiat si vissero momenti pieni di fermento, irripetibili. L’industria automobilistica sovietica nel 1972 arrivò a 1.200.000 unità, tante per noi ma ancora poche per loro. Quella 124 in salsa sovietica cominciò a mostrarsi per le strade quasi inesistenti della grande nazione e divenne un’icona. La Ford e la Renault dovettero ingoiare il rospo e l’America dette il suo benestare (fondamentale il contributo dell’avvocato Gianni Agnelli, amico personale di magnati e industriali statunitensi) già immaginando i guadagni che ne sarebbero derivati. L’Imi (Istituto mobiliare italiano) e il Governo italiano misero a bilancio la stratosferica cifra di 40 miliardi di lire attraverso linee di credito destinate agli acquisti di macchinari non solo italiani, dato che altre nazioni del blocco comunista furono coinvolte nell’operazione.

A distanza di 55 anni e con i rivolgimenti avvenuti nel mondo intero pochi di noi possono dire di aver vissuto quell’emozione.

Molto lentamente, impercettibilmente, la cortina di ferro fra Oriente e Occidente stava crollando. Per la Fiat si aprivano scenari nuovi e per l’URSS fu l’occasione tanto attesa per poter entrare in casa nostra. L’Italia è sempre stata un miraggio per la nazione comunista, che già nel 1944 sperava di gettare basi economiche e politiche in una nazione del bacino del Mediterraneo.

Le relazioni fra Fiat e URSS risalivano ancora al 1916 per la costruzione del camion 15ter (quello della guerra italo turca) oltre al montaggio negli Anni Trenta del secolo scorso di uno stabilimento di cuscinetti a sfere RIV.

La scelta dell’Italia e di conseguenza della Fiat da parte dell’URSS fu dettata anche dalla capacità tutta nostrana di barcamenarci politicamente in qualsiasi situazione. L’Italia era sì uno stato capitalista con forti influssi (dovrei dire ingerenze) statali nell’economia nazionale oltre che uno stato-cuscinetto fra i due blocchi come lo erano la Jugoslavia o l’Ungheria. La forte capacità imprenditoriale italiana prevalse sulle scelte compiute dalla cupola sovietica. Fondamentale fu l’apporto della Novasider nella persona di Piero Savoretti e della sua collaboratrice la dottoressa Escoffier i quali, già attivi in URSS, vollero che Fiat fosse presente nel 1962 alla Fiera della Meccanica a Mosca.

L’Italia, da sempre percepita dai russi come nazione simpatica e gaudente, rappresentava politicamente il ventre molle dell’Europa (occidentale, s’intende) come l’aveva definita anni addietro Winston Churchill; era inoltre in piena crescita economica dopo i disastri della guerra, mostrava moderazione in diplomazia e se ci aggiungete che il leader del partito comunista italiano, Palmiro Togliatti, era stato addirittura presidente del Comintern in epoca staliniana riuscendo misteriosamente a schivare le purghe dell’epoca, ecco che la scelta della Fiat fu quasi obbligata.

I tentativi di far entrare l’Italia nella galassia dei Paesi sotto dominazione sovietica iniziarono già verso la fine della guerra, allorchè diversi comandanti dell’Armata Rossa furono paracadutati in Alta Italia ufficialmente per coordinare le varie cellule comuniste militari e non, ma anche per vedere quali spiragli esistessero per acquisire il nostro Paese. Le cose, come si sa, andarono diversamente sebbene i tentativi sovietici continuassero.

Era il 1968 quando entrai all’Ufficio Stampa Fiat, allora comandato con mano di ferro dalla mitica signorina Maria Rubiolo. L’incrollabile Vittorio Valletta aveva lasciato l’azienda e, subito dopo, la vita terrena; ma il personale, i quadri, l’atmosfera e la mentalità erano rimasti immutati con l’ingegner Gaudenzio Bono a dirigere “la baracca”. Scrupolosa e meticolosa la “Signorina”, come veniva definita in azienda, era solita compiere delle telefonate kilometriche con la dottoressa Escoffier volte a definire e approntare ogni minimo dettaglio dell’accordo stipulato due anni prima. La costruzione dello stabilimento di Togliattigrad (in seguito semplicemente Togliatti) procedeva velocemente ma molti furono gli ostacoli e gli imprevisti che si presentarono quotidianamente prima di giungere alla conclusione dell’opera nella maniera migliore.

Intanto che procedevano i lavori, frequenti furono le visite di commissioni ministeriali sovietiche a Torino alcune delle quali fecero nascere il dubbio che non fossero propriamente legate al controllo e al rispetto del contratto firmato, quanto il forte desiderio di toccare con mano i privilegi e l’abbondanza di un Paese capitalista. Fu un susseguirsi di vice ministri, primi vice ministri, vice primi ministri, primi vice ministri, insomma una costellazione di burocrati e dirigenti di partito che si fregiarono di titoli per noi inusuali e ripetitivi (vi ricordate la divina Greta Garbo nel film Ninotchka?). A tutti fu riservata la migliore accoglienza.

Maestranze, operai, impiegati, tecnici di ogni specie andavano e venivano dall’Italia alla Russia, nazione desolata e priva di quasi tutto. Presto i nostri compresero che contro la burocrazia comunista occorreva agire diversamente. Valigie colme di calze di nylon, penne biro, pile tascabili, portachiavi e ogni altro ben di Dio attraversarono le frontiere per giungere a destinazione permettendo di evitare lunghe attese e estenuanti controlli alle frontiere.

La “Signorina” fece di più. Andò incontro alle richieste del nostro numeroso personale in partenza per quelle lande incaricando il sottoscritto di provvedere a rifornire tre vagoni di un treno in allestimento a Porta Susa di tutto il necessario atto a dimostrare che l’Azienda non si dimenticava dei propri “figli” (così li definì personalmente quell’illustre donna). Oltre ai soliti spaghetti, vino e olio d’oliva volle aggiungere cassette di pomodori, insalatina, mozzarelle e altri prodotti freschi introvabili dall’altra parte, tutto in quantità elevatissima. Non mancarono neppure stoviglie, pentole, un fornelletto da campeggio e un frigorifero Ancora oggi non conosco quale altro materiale fu caricato negli altri vagoni. Due operai furono incaricati di seguire personalmente in treno il viaggio della durata di tre giorni causa la lentezza delle ferrovie sovietiche, dormendo su due brandine attrezzate all’uopo.

Poco prima di andare a riferire all’amministratore delegato, l'ingegner Bono, il risultato della conversazione telefonica intercorsa con la dottoressa Escoffier, la Signorina mi disse: “mi raccomando dì a quei due operai di innaffiare tutti i giorni l’insalatina se vogliono che si mantenga fresca fino all’arrivo”. A tutt’oggi ogni qual volta sento nominare la parola Togliatti mi viene in mente quell’insalatina. Ma l’avranno innaffiata?

Il nome Zhigulì deriva dalle omonime colline presso la città di Togliatti. Il marchio Lada rappresenta una imbarcazione a vela che, secondo la leggenda, permise all’eroe russo Sten’ka Razin di attraversare il Mar Caspio per unirsi ai contadini nella lotta contro il regime zarista. Politica e mitologia sono una costante nella storia di quella immensa nazione.

La vettura Zhigulì, se nella carrozzeria si presentava analoga alla sorella Fiat 124 italiana, sotto il cofano nascondeva alcune modifiche alla meccanica: motore 1198 cc da 62 CV con albero a cammes in testa, 4 cilindri con un consumo di 8lt/100 Km; sospensioni rinforzate e assetto rialzato per permettere la circolazione sulle terribili strade innevate o infangate sovietiche; freni a disco anteriormente e a tamburo posteriormente; cambio 4marce+RM. La vettura subì ,nel corso degli anni, alcune modifiche e nel 1973 sotto il marchio Lada iniziò a proporsi anche sui mercati esteri, ove ottenne buoni successi commerciali grazie al prezzo relativamente basso, il quale condizionò fortemente la qualità complessiva del veicolo e a cui si aggiunsero le difficoltà di reperimento di pezzi di ricambio.

Il vecchio stabilimento di Togliatti, recentemente ristrutturato, è passato nelle mani della Renault. Il tentativo da parte dei francesi di aggiudicarsi nel 1966 il contratto con l’URSS si è compiuto con 50 anni di ritardo. Altri francesi hanno compiuto ultimamente un’acquisizione in casa nostra, che ha l’amaro sapore della sconfitta e della quale si parlerà a lungo suscitando rimpianto in coloro che vissero quei tempi e una generale indifferenza da parte delle giovani generazioni.



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