"Durante questa transizione potrà ridursi l’occupazione e
potranno protrarsi le situazioni di sospensione dal lavoro; ne saranno frenati
i consumi, che risentiranno anche del possibile aumento del risparmio
precauzionale dovuto ai timori sulle prospettive, non solo economiche. Potrà
crescere il disagio sociale; le misure di bilancio mirano a contenerlo.
Con il dissiparsi della pandemia potremo ritrovarci in un mondo diverso.
Se intuiamo, in modo impreciso e contrastiamo, con forza, la gravità delle
conseguenze sociali ed economiche nel breve periodo, per quelle a più
lungo termine possiamo solo riconoscere di “sapere di non sapere”. È molto
difficile prefigurare quali saranno i nuovi “equilibri” o la nuova “normalità”
che si andranno determinando, posto che sia possibile parlare di equilibri
e normalità. Per affrontare tanta incertezza è però cruciale, oggi ancora
più di prima, che siano rapidamente colmati i ritardi e superati i vincoli
già identificati da tempo".
"Oggi più di prima, perché una cosa è sicura:
finita la pandemia avremo livelli di debito pubblico e privato molto più
alti e un aumento delle disuguaglianze, non solo di natura economica. Solo
consolidando le basi da cui ripartire sarà possibile superare con successo le
sfide che dovremo affrontare.
Lo sconvolgimento causato dalla pandemia ha natura diversa da quello
di una guerra mondiale ed è arduo confrontarne gli effetti. Possiamo partire
però da un pensiero maturato proprio immaginando come si sarebbe potuto
gestire una grande guerra. Ottant’anni fa John Maynard Keynes scriveva: “… la migliore garanzia di una conclusione rapida è un piano che consenta
di resistere a lungo … un piano concepito in uno spirito di giustizia sociale,
un piano che utilizzi un periodo di sacrifici generali” – verrebbe da dire, come
quelli di questi nostri giorni – “non come giustificazione per rinviare riforme
desiderabili, ma come un’occasione per procedere più avanti di quanto si sia
fatto finora verso una riduzione delle disuguaglianze”.
"Sarà essenziale mettere bene a frutto le risorse mobilitate per superare
le difficoltà più gravi, predisporre, da subito, le condizioni per il recupero
di quanto si è perso, usare bene il progresso tecnologico per tornare a uno
sviluppo più equilibrato e sostenibile, che generi occupazione e consenta
anche di ridurre, con la necessaria gradualità ma senza timori, il peso del
debito pubblico sull’economia.
Ricordiamo i punti di forza della nostra economia. Nonostante i ritardi e le
difficoltà, in particolare sul piano territoriale, negli ultimi mesi le infrastrutture
di rete hanno tenuto, consentendo a centinaia di migliaia di lavoratori di
continuare a operare da remoto; il settore manifatturiero è flessibile e, dopo
la crisi dei debiti sovrani, ha rapidamente recuperato competitività, portando
in avanzo la bilancia dei pagamenti; il debito netto con l’estero è pressoché
nullo; la ricchezza reale e finanziaria delle famiglie è in complesso elevata e il
loro debito è tra i più bassi nei paesi avanzati; quello delle imprese è inferiore
alla media europea; il sistema finanziario, rafforzato nonostante la doppia
recessione, è in condizioni decisamente migliori di quelle in cui si trovava alla
vigilia della crisi finanziaria globale".
"Vi sono però investimenti dai quali non possiamo prescindere, in
particolare quelli rivolti all’innovazione nelle attività produttive e al
miglioramento dell’ambiente, investimenti che vanno sempre più tra loro
integrati. Un contesto favorevole all’attività d’impresa richiede interventi
risoluti, rapidi e ad ampio spettro per innalzare in modo sostanziale la qualità
e l’efficienza dei servizi pubblici. E va ribadita, se possibile oggi ancora di più,
l’importanza di quelli volti ad accrescere i livelli di cultura e di conoscenza,
dalla scuola all’università così come nella ricerca.
Un ambiente economico rinnovato potrà dare frutti se tutti i protagonisti
che lo animano − le imprese e le famiglie, chi studia e chi lavora, gli intermediari
finanziari e i risparmiatori − sapranno assumere la piena responsabilità del
proprio ruolo".
" Un nuovo rapporto è indispensabile anche in Europa. Ogni paese
deve utilizzare le risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee con
pragmatismo, trasparenza e, soprattutto, in maniera efficiente. I fondi europei
non potranno mai essere “gratuiti”: il debito europeo è debito di tutti e l’Italia
contribuirà sempre in misura importante al finanziamento delle iniziative
comunitarie, perché è la terza economia dell’Unione. Ma un’azione comune,
forte e coordinata potrà proteggere e contribuire a rilanciare la capacità
produttiva e l’occupazione in tutta l’economia europea.
L’importanza della recente proposta della Commissione non sta
nella sostituzione di un prestito con un trasferimento, ma nell’assunzione
collettiva di responsabilità per il finanziamento della ripresa: sarebbe il primo
passo verso un’unione di bilancio e il completamento del disegno europeo".
"Abbracciare con convinzione questa idea, per disegnarla compiutamente
e pianificarne l’attuazione, è una necessità non derogabile. Un impegno
unitario è nell’interesse di tutti: le drammatiche circostanze di oggi rafforzano
le ragioni dello stare insieme, spingono a perseguire un progetto che mobiliti
risorse a sostegno di una crescita inclusiva e sostenibile".