A dirlo è
l’Ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle
piccole imprese di Mestre, che, con il suo coordinatore, Paolo Zabeo,
afferma: “Premesso che perdere oltre 60.000 giovani diplomati e
laureati ogni anno costituisce un grave impoverimento per il nostro
Paese, è ancor più allarmante che quasi 600.000 decidano di
lasciare gli studi anticipatamente. Un numero, quest’ultimo, 10
volte superiore al primo”.
Zabeo ha
aggiunto: “E' un problema, quello degli descolarizzati, che stiamo
colpevolmente sottovalutando, visto che nei prossimi anni, anche a
seguito della denatalità in atto, le imprese rischiano di non poter
contare su nuove maestranze sufficientemente preparate
professionalmente. Un problema che già oggi comincia a farsi sentire
in molte aree produttive, soprattutto del Nord”.
In Piemonte, in
particolare, è del 13,6% la quota di giovani fra i 18 e i 24 anni che
hanno abbandonato prematuramente gli studi, tasso comunque inferiore
al 18,5% registrato nel 2008. Sebbene negli ultimi anni ci sia stata
una contrazione del fenomeno, un elevato numero di giovani continua a
lasciare prematuramente la scuola, anche dell’obbligo, concorrendo
ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà ed
esclusione sociale.
Una persona che
non ha un livello minimo di istruzione, infatti, è in genere
destinata per tutta la vita a un lavoro dequalificato, spesso
precario e con un livello retributivo molto basso, rispetto a quello
cui potrebbe aspirare, almeno potenzialmente, se possedesse un titolo
di studio medio-alto.
Le cause che
determinano l'abbandono scolastico sono principalmente culturali,
sociali ed economiche: i ragazzi che provengono da ambienti
socialmente svantaggiati e da famiglie con uno scarso livello di
istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima
di aver completato il percorso di studi. C'è anche un fattore di
genere: ad abbandonare precocemente la scuola sono più i maschi che
le femmine.
Sebbene la fuga
dai banchi di scuola sia in calo in tutta Europa, nel 2018 l’Italia
si colloca al terzo posto tra i 19 paesi dell’Area dell’euro per
abbandono scolastico tra i giovani in età compresa tra 18 e 24 anni.
Se da noi la percentuale è stata del 14,5 per cento (pari a circa
598.000 giovani), solo Malta (17,4%) e Spagna (17,9%) presentano dei
risultati peggiori ai nostri. La media Ue si attesta all’11%.
Comunque, tra il 2008 e il 2018 il fenomeno in Italia è sceso del
5,1%, pressoché in linea con la media Ue (-5,3%).
A livello
territoriale italiano sono le regioni del Sud a registrare i livelli
più elevati di abbandono scolastico. Nel 2018 in Sardegna il 23% dei
giovani ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di
studio. Seguono la Sicilia con il 22,1% e la Calabria con il 20,3%.
Al contrario,
Trentino-Alto
Adige e Friuli-Venezia Giulia (entrambe con l'8,9%), Abruzzo (8,8%) e
Umbria (8,4%) sono le regioni più virtuose.
In Valle d'Aosta,
nel 2018. il tasso d'abbandono è stato del 15,2% e del 12,8% in
Liguria.
La situazione
preoccupa anche per le imprese. Stando alle indagini condotte
dall’Unioncamere e dall’Anpal, infatti, sarebbero stati oltre 1
milione i posti di lavoro di difficile reperimento nel 2018 a causa
del disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro; sebbene
in Italia la disoccupazione giovanile superi il 25% e le imprese
denuncino molte difficoltà a reperire personale, soprattutto con
competenze digitali.
Le imprese,
infatti, se da un lato cercano, con sempre maggiore insistenza,
personale con elevata specializzazione tecnica-professionale
(ingegneri elettrotecnici, analisti e progettisti di software,
elettrotecnici, tecnici elettronici, installatori, manutentori,
specialisti di saldatura elettrica, riparatori di apparecchiature
informatiche), dall’altro necessitano anche di figure
caratterizzate da bassi livelli di competenze e di specializzazione.
Tutto ciò, legato al calo demografico e alle difficoltà di far
dialogare il mondo della scuola con quello del lavoro, ha reso molto
difficile il reperimento da parte delle imprese di moltissime
professionalità di alto profilo e dall’altro la copertura dei
mestieri più duri e faticosi dal punto di vista fisico è stata
garantita, almeno in parte, grazie alla disponibilità degli
immigrati.
Ora, se il numero
degli descolarizzati non è destinato a ridursi drasticamente, nei
prossimi anni sarà sempre più difficile per le aziende trovare
personale qualificato, anche perché si sta riducendo, a causa del
calo demografico, la platea dei giovani che entreranno nel mercato
del lavoro. Per contro, questi giovani, che non dispongono di una
adeguata preparazione professionale, saranno difficilmente
collocabili nel mercato del lavoro, anche perché rischiano di
perdere in partenza la competizione con gli stranieri nell’occupare
i posti di lavoro poco qualificati.