L’indagine – ha spiegato Ivana
Veronese, Segretaria confederale della Uil - prende a campione una
famiglia, composta da due lavoratori dipendenti, con un reddito di 44
mila euro (37.600 euro netti l’anno), pari a un reddito Isee di
17.812 euro. Ovviamente, i costi variano sensibilmente da città a
città, anche in relazione ai servizi offerti.
Dai dati elaborati, spiccano Brescia e
Cuneo, dove il costo dell'asilo nido, per la famiglia campione, è
mediamente di 445 euro mensili (l’11,8% del budget familiare); ad
Alessandria 416 euro (l’11,1% del budget familiare); a Vicenza 410
euro; a Lecco 385 euro; a Matera e Verona 380 euro; a Sondrio 376
euro; a Udine 370 euro mensili; ad Aosta 364 euro. Rette più basse,
invece, si trovano a Trapani dove il costo medio dell'asilo nido
quest’anno è di 111 euro mensili (il 3% del budget familiare); a
Vibo Valentia 129 euro; a Cagliari 133 euro; a Pesaro 134 euro; a
Reggio Calabria 138 euro. Prendendo in considerazione le grandi città
– ha evidenziato Ivana Veronese - frequentare un asilo nido a
Firenze costa mediamente 338 euro mensili (il 9% del budget
familiare); a Torino 292 euro mensili (il 7,8% del budget familiare);
a Genova 286 euro (7,6%); a Venezia 246 euro mensili (6,5%); a Milano
232 euro mensili (6,2%); a Bologna 222 euro (5,9%); a Palermo 212
euro (5,6%); a Napoli 207 euro (5,5%); a Bari 178 euro (4,7%); a Roma
174 euro (4,6%).
I Comuni incassano, complessivamente,
oltre 223 milioni di euro l’anno dalla compartecipazione delle
famiglie ai costi di gestione degli asili nido comunali e
convenzionati.
“L’alto costo delle rette si
ripercuote, in maniera piuttosto pesante, sulla tenuta del potere di
acquisto dei salari e, per questo – ha detto Ivana Veronese -
condividiamo l’idea del Governo di rendere gratuita la frequenza
negli asili nido per le famiglie con redditi medio bassi. Ma, al
contempo, il Governo dovrà compensare integralmente i Comuni della
mancata compartecipazione delle famiglie ai costi di gestione, perché
non vorremmo che da questa operazione possano aumentare le imposte e
tasse locali”.
“C’è poi da considerare ancora
l’insufficiente diffusione della rete dei servizi per l’infanzia,
soprattutto nel Mezzogiorno, che ha delle pesanti ripercussioni,
dirette e indirette, anche sull’occupazione in generale e su quella
femminile in particolare. C’è bisogno, quindi - conclude Veronese
- di una maggiore diffusione dei servizi per l’infanzia in tutto il
territorio nazionale a iniziare dal Sud dove, nell’annunciato
Piano, i servizi di conciliazione vita-lavoro dovranno avere
priorità”.