Carlo Messina, ad e dg di Intesa Sanpaolo, al nono posto per remunerazione: 5,65 milioni nel 2018 |
Dal
report emerge che, nello scorso
anno, i soggetti apicali delle società italiane le cui azioni sono
negoziate sul mercato Mta, complessivamente hanno ricevuto compensi
pari a 605,5 milioni di
euro. La quota fissa, percepita nel 95,1% dei casi, ammonta a 332,4
milioni e rappresenta il 54,9% del monte compensi; mentre la quota
variabile si compone di una parte monetaria (non equity), pari a
132,5 milioni (21,9% del totale) che interessa l’8,6% dei soggetti
e una parte corrisposta in strumenti finanziari (equity) che
raggiunge 56,9 milioni (9,4% del totale) a beneficio del 3,3% dei
soggetti.
Il
4,2% delle posizioni non ha riscosso alcun emolumento. La quota
variabile complessiva si attesta al 33% del monte compensi, escluse
le buonuscite. I benefit (auto, assicurazioni ecc.), nell'insieme,
sono di poca rilevanza sommando 6,7 milioni (1,1% del totale), ma
hanno un grado di diffusione più ampio, pari al 13,2% dei soggetti.
Viene ricordato, inoltre, che 44 posizioni (1,3% del totale) hanno
ricevuto compensi legati alla cessazione della propria carica: si
tratta di 32,4 milioni, pari al 5,3% del monte compensi. Le sei
maggiori liquidazioni (ognuna superiore a 2 milioni) rappresentano il
65% del relativo totale.
Oltre
a rilevare che l'emolumento medio degli amministratore delegati nel
2018 è risultato inferiore del 10,8% a quello del 2017 ( 952.400
euro), mentre è diminuito dell'8,3% il compenso medio dei
presidenti, ammontato così a 458.200 euro ed è stato di 209,600
euro quello dei vicepresidenti.
Va
precisato, però, che, in molti casi, i top manager ricoprono più di
una carica. Questo cumulo riguarda soprattutto la figura del
consigliere delegato in abbinamento con l'incarico di presidente o di
direttore generale.
La
remunerazione media di una donna che ricopre la carica di
amministratore delegato supera di poco la metà di quella di un pari
grado uomo,
mentre il compenso medio delle donne presenti nei consigli è pari a
circa un quarto di quello maschile. Infatti, la retribuzione media di
un ad donna è di 474.400 euro, nonostante negli anni il divario
salariale si sia ridotto del 31%.
Inoltre, il Centro Studi Mediobanca ha rilevato che a pagare di più sono le compagnie di assicurazione che, in media, erogano ai loro amministratori delegati 4,34 milioni di euro e arrivano a un massimo di 7,9 milioni di euro. Invece, gli ad delle banche hanno avuto una retribuzione media di 1,97 milioni, con un tetto massimo raggiunge di 5,7 milioni; mentre quelli dell’industria hanno superato di poco il milione di euro l’anno (il picco è stato di 7,7 milioni).
Dalle
relazioni sulla remunerazione emerge che a guadagnare di più sono i
manager che ricoprono più di una carica. Il
primo in classifica è risultato Carlo Cimbri,
amministratore delegato e direttore generale di Unipol, che,
complessivamente, nel 2018 ha guadagnato 7,9 milioni di euro lordi.
Al secondo posto c’è Gianni Tamburi, presidente e di di Tamburi
investments con 7,7 milioni lordi. Terzo gradino del podio per
Massimo Della Porta, presidente di Saes Getters, con 7 milioni di
euro. Della
Porta è dunque il manager più pagato per singola carica.
Seguono:
Remo Ruffini, presidente e ad di Moncler, con 6,5 milioni e Claudio
Descalzi, presidente e ad di Eni, con 6,45 milioni. Sesto posto per
Philippe Donnet, amministratore delegato di Generali (5,986 milioni),
settimo Pier Roberto Folgiero, ad e dg di Maire Tecnimont (5,952
milioni), ottavo Giovanni Castellucci, ex a.d. e d.g. di Atlantia
(5,688 milioni), nono Carlo Messina, ad e dg di Intesa Sanpaolo (5,65
milioni). Chiude la classifica dei top manager più pagati nel 2018
Pietro Salini, amministratore delegato di Salini Impregilo, con 5,608
milioni.
Il
Centro Studi di Mediobanca ha raccolto informazioni su 3.543
fra amministratori, direttori generali e componenti del collegio
sindacale. Il 56% delle rilevazioni si riferisce alla carica di
consigliere, il 16% a quella di sindaco effettivo e il 7% a quella di
presidente del collegio sindacale. Il 6% dei casi è relativo alla
figura di presidente del cda, il 4% al consigliere delegato, il 4% al
presidente o vice. Da segnalare la ricorrenza del 4% di cariche
cumulate, che, per la grande maggioranza dei casi, coinvolgono la
figura del consigliere delegato in abbinamento con quella del
presidente o del direttore generale.
La
nazionalità prevalente è quella italiana (93,6% dei casi), seguita
da quelle statunitense (1,2%), francese (0,9%) e inglese (0,6%). Il
cumulo delle restanti 40 nazionalità concorre al saldo del 3,7%. La
dimensione media dei cda, escluso quindi il collegio Sindacale, è
pari a 12 consiglieri.
A
fine 2018, l’età media dei soggetti che siedono negli organi di
amministrazione e controllo delle società esaminate è pari a 57,2
anni, quella mediana è di 56,2 anni. Il soggetto più giovane ha 26
anni, il più anziano 97. Il 3,7% dei soggetti ha almeno 40 anni,
mentre il 12,9% ne ha almeno 70. La maggiore concentrazione è tra i
50 e i 60 anni, ove cade il 41,7% delle occorrenze.
Le
presidenze sono ricoperte da soggetti relativamente più attempati:
quella del cda segna un’età di 63,6 anni, quella del collegio
sindacale si ferma a 57,3 anni. La vice – presidenza del cda supera
anch’essa i 60 anni (60,9 in media). Sono più giovani i
consiglieri delegati (55,7 anni) e i sindaci effettivi (55,6 anni).
L’età media del consigliere è di 56,4 anni. L’età minima per
l’ingresso nel cda è di 26 anni, mentre a 42 anni si colloca la
soglia d’accesso alla posizione di presidente del cda e a 35 anni
quella di consigliere delegato. Per tutte le cariche, l’età
massima è prossima o supera gli 80 anni; al di sopra dei 90 anni per
la presidenza onoraria. I comparti assicurativo e bancario appaiono
allineati su valori medi attorno ai 60 anni, mentre nell’industria
l’età media appare più contenuta (56,7 anni).
Quanto
alla composizione per genere, gli uomini occupano il 66% delle
cariche, le donne il residuo 34%. I due generi presentano una certa
differenza quanto all’età poiché le donne sono mediamente più
giovani di circa 6 anni: 53,1 anni contro 59,3. La presenza femminile
varia a seconda della carica esaminata e si riduce notevolmente nelle
posizioni apicali: solo l’8,1% nella carica di consigliere
delegato, il 10,7% nel caso della presidenza del cda e il 18,2% per
la vice presidenza del cda. Anche la Presidenza del Collegio
sindacale vede una partecipazione femminile relativamente ridotta
(22,1%). La quota femminile sale con riferimento alla funzione di
consigliere (42,2%) e tocca il proprio massimo nella carica di
sindaco effettivo (43,2%).