L’economia non osservata (Noe) è la
parte di attività economica di mercato che, per motivi diversi,
sfugge all’osservazione diretta della statistica ufficiale e pone
problemi particolari nella misurazione statistica. Essa comprende,
essenzialmente, l’economia sommersa e quella illegale.
Le principali componenti dell’economia
sommersa sono costituite dal valore aggiunto occultato tramite
comunicazioni volutamente errate del fatturato e/o dei costi
(sotto-dichiarazione del valore aggiunto), o generato mediante
l’utilizzo di input di lavoro irregolare. A esso si aggiunge il
valore dei fitti in nero, delle mance e una quota che emerge dalla
riconciliazione fra le stime degli aggregati dell’offerta e della
domanda.
Le attività illegali sono sia le
attività di produzione di beni e servizi la cui vendita,
distribuzione o possesso sono proibite dalla legge, sia quelle che,
pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. Le
tipologie di economia illegale, incluse nel Pil dei Paesi Ue, sono la
produzione e il commercio di stupefacenti, le attività di
prostituzione e il contrabbando di sigarette.
La composizione dell’economia non
osservata, ovvero il peso percentuale che ciascuna componente ha sul
totale dell’economia non osservata, registra modeste variazioni
nell’arco dei quattro anni analizzati. La correzione della
sotto-dichiarazione del valore aggiunto risulta essere la componente
più rilevante in termini percentuali: nel 2017 pesa il 46,1% (+0,3
punti percentuali rispetto all’anno precedente). Il valore aggiunto
generato dall’impiego di lavoro irregolare costituisce la seconda
componente in termini di peso sul totale, attestandosi nel 2017 al
37,3% (-0,5 punti percentuali rispetto al 2016). L’incidenza delle
altre componenti dell’economia sommersa (mance, fitti in nero e
integrazione domanda-offerta) si attesta al7,6%, rimanendo
sostanzialmente stabile rispetto al 2016. Il peso delle attività
illegali, invece, presenta un andamento crescente dal 2014. In
particolare, aumenta di 0,3 punti percentuali rispetto al 2016,
portandosi al 9,0% nel 2017.
L’insieme delle componenti
dell’economia sommersa vale nel 2017 circa 192 miliardi di euro, il
12,3% del valore aggiunto prodotto dal sistema economico: in
particolare, la sotto-dichiarazione vale 97 miliardi, l’impiego di
lavoro irregolare 79 miliardi e le componenti residuali 16 miliardi.
A livello settoriale si evidenzia che
il ricorso alla sotto-dichiarazione del valore aggiunto ha un ruolo
significativo nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, dove
rappresenta il 13,2% del valore aggiunto del comparto, nelle
Costruzioni (11,9%) e nei Servizi professionali (11,6%). Il fenomeno
risulta meno rilevante nelle attività connesse alla Produzione di
beni alimentari e di consumo (9,2% del totale del settore), alla
Produzione di beni di investimento (2,4%) ed è solo marginale nella
Produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,5%).
L’impiego di lavoro irregolare ha un
peso particolarmente rilevante, pari al 22,7% del valore aggiunto,
negli Altri servizi per la persona, dove è forte l’incidenza del
lavoro domestico, mentre il suo contributo risulta molto limitato nei
tre comparti dell’industria in senso stretto (tra l’1,1% e il
3,0%) e negli Altri servizi alle imprese (1,7%). Nel settore primario
il valore aggiunto sommerso è generato solo dall’impiego di lavoro
irregolare, che rappresenta il 16,9% del totale prodotto dal settore.
Il 41,7% del sommerso economico si
concentra nel settore del Commercio all’ingrosso e al dettaglio,
trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove
si genera il 21,4% del valore aggiunto totale. Analogamente,
l’incidenza relativa del ricorso al sommerso è alta negli Altri
servizi alle persone ed è pari al 12,3% del sommerso economico, pur
contribuendo il settore solo per il 4,1% alla formazione del valore
aggiunto totale. All’opposto, il settore degli Altri servizi alle
imprese contribuisce al valore aggiunto dell’intera economia per il
27,2% mentre il suo peso in termini di sommerso è del 12,7%. Anche
le attività di Produzione di beni intermedi e le attività di
Produzione di beni di investimento contribuiscono all’economia
sommersa in misura più ridotta (0,8% e 2,1% rispettivamente) che al
valore aggiunto complessivo (6,4% e 6,7%).
Il ricorso al lavoro non regolare da
parte di imprese e famiglie è una caratteristica strutturale del
mercato del lavoro italiano. Sono definite non regolari le posizioni
lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in
materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente
presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative.
Nel 2017, sono 3,7 milioni le unità di
lavoro a tempo pieno (Ula) in condizione di non regolarità, occupate
in prevalenza come dipendenti (2,696 milioni). L’aumento della
componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di
un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al
2015). Il tasso di irregolarità è più elevato tra i dipendenti
rispetto agli indipendenti (rispettivamente il 16,0% e il 14,2%).
Nell’insieme del periodo 2014-2017 il
lavoro non regolare presenta una dinamica differenziata e opposta a
quella che caratterizza il lavoro regolare: gli irregolari aumentano
di circa 59 mila unità (+1,6%) mentre i regolari crescono di 603
mila unità (+3,1%), determinando un leggero calo del tasso di
irregolarità (dal 15,6% osservato del 2014 al 15,5% del 2017).
L’incidenza del lavoro irregolare è
più elevata nel settore dei servizi (16,8%) e raggiunge livelli
particolarmente elevati nel comparto degli Altri servizi alle persone
(47,7%) dove la domanda di prestazione lavorative non regolari da
parte delle famiglie è rilevante. Molto significativa risulta la
presenza di lavoratori irregolari anche in agricoltura (18,4%), nelle
costruzioni (17,0%) e nel Commercio, trasporti, alloggio e
ristorazione (15,8%).
In termini assoluti, nel comparto del
commercio e quello degli Altri servizi alle persone sono impiegate il
61% del totale delle Ula non regolari. Nell’Industria in senso
stretto, dove la diffusione del lavoro irregolare è contenuta
(7,6%), il comparto della Produzione di beni alimentari e di consumo
presenta il tasso di irregolarità più elevato (9,3%).
Nel 2017, le attività illegali
considerate nel sistema dei conti nazionali hanno generato un valore
aggiunto pari a 18,9 miliardi di euro, con un incremento di 0,8
miliardi rispetto all’anno precedente. I consumi finali di beni e
servizi illegali sono risultati pari a 20,3 miliardi di euro (+0,9
miliardi rispetto al 2016), che corrispondono all’1,9% del valore
complessivo della spesa per consumi finali. Tra 2014 e il 2017
l’incremento delle attività illegali è stato pari a 2,4 miliardi
per il valore aggiunto e 2,7 miliardi per la spesa per consumi finali
delle famiglie (con una crescita media annua rispettivamente del 4,7
e 4,9%).
La crescita delle attività illegali è
determinata prevalentemente dal traffico di stupefacenti. Nel 2017 Il
valore aggiunto sale a 14,4 miliardi di euro e la spesa per consumi
raggiunge i 15,7 miliardi di euro. Nel corso dell’intero periodo
l’incremento medio annuo per entrambi gli aggregati è di circa 5,8
punti percentuali.
Nel periodo di riferimento è modesta
la crescita dei servizi di prostituzione: nel 2017 sia il valore
aggiunto sia i consumi si attestano a 4,0 miliardi di euro, livelli
sostanzialmente invariati rispetto al 2014. L’attività di
contrabbando di sigarette nel 2017 rappresenta il 2,5% del valore
aggiunto complessivo (0,5 miliardi di euro) e il 3,2% dei consumi
delle famiglie (0,7 miliardi di euro).