Oltre
ai tre gruppi ancestrali comuni a tutti gli europei – i
cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, gli agricoltori neolitici di
origine mediorientale e gli allevatori di cavalli dell’Età del
Bronzo– nel genoma degli italiani sono state identificate tracce
genetiche di un “nuovo” e, precedentemente, ignoto quarto gruppo
ancestrale, geneticamente simile alle popolazioni moderne della
regione del Caucaso. Questa componente sarebbe giunta nella penisola
italiana, passando dal Sud Italia, in un periodo compreso tra la fine
del Neolitico e l’inizio dell'Età del Bronzo.
La
ricerca è frutto di una collaborazione tra il Dipartimento
di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani” dell'Università di
Pavia,
il Dipartimento
di Scienze Mediche e l’Istituto Italiano per la Medicina Genomica
(Iigm) di Torino,
a cui appartengono Serena Aneli, Giovanni Birolo, Cornelia di
Gaetano, Alberto Piazza e Giuseppe Matullo; il Dipartimento
di Zoologia dell'Università di Oxford (Francesco
Montinaro e Cristian Capelli) e molti ricercatori di altre università
sia italiane (Perugia, Sassari, Roma, Padova, Milano) sia estere.
Parte
dei campioni utilizzati provengono dal “Progetto di studio del
Genoma della popolazione italiana”, originatosi dall’idea di
Luigi Luca Cavalli Sforza,
scomparso recentemente, e di
Alberto Piazza e
realizzato grazie alla collaborazione delle sezioni provinciali
dell’Avis (Associazione Volontari Italiani del Sangue).
Altri
campioni, invece, provengono da una raccolta
effettuata nel maggio 2013 in occasione dell'adunata nazionale degli
alpini dal
gruppo di Genomica delle Popolazioni Umane e Animali del
Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell'Università di Pavia,
in collaborazione con l’Associazione Nazionale Alpini (Ana), la
sezione provinciale dell’Ana di Piacenza e il Comune di Piacenza.
Lo
studio ha coinvolto più di 1.500
italiani, provenienti da tutte e 20 le regioni d’Italia, che sono
stati analizzati per oltre 200.000 polimorfismi del Dna nucleare (il
Dna delle 23 coppie di cromosomi localizzati nel nucleo delle nostre
cellule). Questi polimorfismi sono stati poi “allineati” in
segmenti cromosomici (aplotipi) che sono stati comparati non solo tra
di loro, ma anche con quelli provenienti da molte altre popolazioni
europee, mediorientali e africane.
Questo
confronto, che ha permesso di identificare gruppi genetici simili e
di ricostruire dove e quando queste componenti si sono originate, è
stato poi esteso al Dna dell’uomo di Neandertal in modo da valutare
quanto questo nostro parente estinto ha contribuito geneticamente
alla popolazione italiana ed europea.
Un
risultato estremamente chiaro è che la variabilità genetica degli
italiani si distribuisce lungo l’asse Nord-Sud, rispecchiando
chiaramente la geografia del Paese con gruppi di campioni che si
discostano (Sardegna) da esso.
Geneticamente, questi gruppi variano tra di loro tanto quanto i
gruppi di campioni dei diversi Paesi europei, che singolarmente
presentano una variabilità sempre minore di quella italiana.
Il
motivo dell'elevata variabilità osservata nella popolazione italiana
è attribuito all’isolamento genetico di alcuni di questi gruppi,
combinato con il mescolamento e le migrazioni, con e da altre
popolazioni, avvenuti in vari periodi lungo la penisola italiana, in
Sicilia e in Sardegna. In questo contesto è tuttavia importante
ricordare che, a livello genetico, gli esseri umani condividono quasi
tutto il loro Dna: le differenze che si possono riscontrare in media
tra due soggetti presi a caso dalla popolazione mondiale sono intorno
allo 0.1%.
Il
genoma di tutte le popolazioni umane non sub-Sahariane contiene
traccia del mescolamento tra Neandertaliani e Homo sapiens,
un’ibridazione avvenuta dopo l’uscita dei sapiens dall’Africa
(a partire da 60.000 anni fa) nel successivo lungo periodo di
convivenza in Eurasia.