L’immigrazione,
come è sempre avvenuto nella storia, genera nel cittadino comune
paure, ansia, inquietudine esistenziale, che i politici affrontano o
negando in toto la realtà di questo disagio dei cittadini, oppure lo
cavalcano, non di rado enfatizzandolo, per sfruttarlo a fini
elettorali e conquistare posizioni di potere. Nessuno dei due agisce
in concreto per governare il fenomeno migratorio, per renderlo
compatibile con le esigenze dell’economia e della società moderna.
Di
fatto la sinistra e la destra lo ritengono un fenomeno epocale,
inarrestabile e quindi propongono solo l’apertura totale da un lato
oppure nuovi muri dall’altro.
Strumentalizzazioni
politiche a parte, una delle ragioni per cui il fenomeno migratorio
ha assunto un carattere dirompente, mettendo in crisi le vecchie
democrazie liberali in Occidente, è la diffusa ignoranza non solo
tra la popolazione, ma anche nei gruppi dirigenti politici, delle
effettive caratteristiche delle attuali migrazioni, delle motivazioni
che sono alla base dello spostamento di tante persone e, quindi,
delle politiche che sarebbe opportuno adottare per governare i flussi
ed evitare di mettere a rischio le strutture democratiche come invece
sta avvenendo anche in Paesi di antica democrazia come dimostra il
caso inglese.
Guido
Bolaffi, profondo
conoscitore della materia, insieme a Giuseppe
Terranova, più
giovane docente universitario di geopolitica delle migrazioni, hanno
appena pubblicato presso l’Editoriale Scientifica di Napoli un
agile saggio “Immigrazione-cause, problemi, soluzioni”, che mira,
in primo luogo, a colmare un vuoto conoscitivo, che si riscontra nel
dibattito corrente sul fenomeno e, in secondo luogo, a offrire alcuni
suggerimenti per politiche più efficaci sia nel contenimento del
flusso sia nell’inserimento di chi comunque in un modo o
nell’altro, riesce ad arrivare.
Per
capire quanto sta avvenendo bisogna avere ben chiaro che nei
Paesi ricchi dell’Occidente è il mercato delle imprese e delle
richieste dei cittadini che fa la domanda di immigrati, mentre la
pubblica opinione e i singoli cittadini li rifiutano.
A volte i componenti di una stessa famiglia da un lato ricercano
badanti o personale di servizio e dall’altro si dimostrano
risolutamente contrari all’immigrazione. Analogo il caso degli
imprenditori che hanno bisogno di mano d’opera immigrata, ma poi
votano Salvini.
Quindi,
per
molta gente la formula è: sì agli immigrati e no all’immigrazione.
Nel
dibattito corrente, poi, si tende a fare di tutta l’erba un fasci,
non
distinguendo tra gli immigrati economici e i profughi, che
scappano da guerre o persecuzioni. I primi potrebbero essere
respinti, mentre i secondi, sulla base del diritto internazionale,
devono essere accolti. Queste mancate distinzioni danno luogo a tutta
una serie di politiche contorte e ipocrite, per cui capita che Paesi
che da una parte proclamano la più intransigente chiusura delle
frontiere dall’altro, come avvenuto in Polonia, sono tra gli stati
europei che accolgono più migranti.
La
seconda questione di importanza fondamentale per capire l’origine
del fenomeno migratorio (profughi a parte) è quella della povertà e
della demografia. Tutti i politici, confortati da alcuni studiosi,
sostengono che è l’estrema povertà che spinge la gente a lasciare
il proprio Paese di origine e che, insieme alla pressione
demografica, si crea una molla assolutamente incontrollabile. Sulla
base di tali assunti, si è detto che nel giro di due o tre decenni
in Europa arriverà una valanga di 150-200 milioni di africani e che,
dato il basso tasso di natalità della popolazione attualmente
residente nel vecchio continente, questi nuovi arrivati saranno
presto oltre il 30% della popolazione europea totale.
Bolaffi
e Terranova dimostrano che entrambe queste affermazioni sono errate.
A emigrare non sono gli abitanti dei Paesi più poveri, ma quelli di
Paesi che stanno a metà della classifica dello sviluppo, mentre la
pressione demografica non altera sostanzialmente i flussi, i quali si
mantengono in una percentuale stabile rispetto alla popolazione
mondiale ( circa il 3%) .
Questo
porta come conseguenza che le affermazioni di molti politici (in
Italia soprattutto i leghisti) tipo “aiutiamoli a casa loro, così
non vengono qui”, sono errate per quanto riguarda gli effetti
sull’immigrazione e, anzi, potrebbero portare a un aumento degli
arrivi, mentre potrebbero essere molto opportune sotto l’aspetto
geopolitico o morale.
La
sinistra, in genere sostiene che non c’è nessuna “invasione”,
che le paure della gente sono dovute a una errata percezione del
fenomeno. Si trascura di considerare che nei
fenomeni sociali le percezioni sono parte del problema e quindi non
vanno snobbate, ma prese sul serio.
E poi le percezioni spesso affondano le radici – come dimostrano
Bolaffi e Terranova – su fenomeni reali relativi al welfare
(abitazioni popolari e sanità) o si intrecciano con profondi
mutamenti economici e sul mercato del lavoro che hanno portato
all’emersione di un’ansia profonda in vasti settori della società
circa il proprio futuro e quello dei propri figli.
Occorrono
quindi politiche adatte sia internazionali che nazionali per
governare adeguatamente i mutamenti dell’economia legati alle
tecnologie e connessi anche con la richiesta di servizi a basso
valore aggiunto in aumento nelle grandi città e che in genere
vengono forniti dai nuovi arrivati.
Mai
come nel caso dell’immigrazione risulta attuale l’antica massima
di Einaudi “conoscere per deliberare”. Altrimenti si rischiano
sanguinose battaglie politiche su questioni secondarie o che non si
prestano a essere risolte con una scelta netta tra bianco o nero.
Quest’ultimo è il caso dello Jus
soli e
dello Jus
sanguinis,
che hanno, entrambi, difetti tali per cui bisognerebbe andare con
pazienza e senso pratico, verso soluzioni miste che evitino le
conseguenze negative dell’applicazione rigida dell’uno o
dell’altro criterio.
Bisognerebbe
far diventare l’immigrazione da detonatore di tutte le paure dei
ricchi cittadini occidentali i quali sono spinti a ricercare la
sicurezza in un impossibile ritorno al passato ( dove peraltro la
sicurezza non c’era), in un fattore che può essere di vantaggio
per tutti. Certo bisognerà camminare lungo uno stretto sentiero.
Come già notava ai suoi tempi Aristotele “una società troppo
omogenea rischia il soffocamento, mentre quella troppo disomogenea
rischia l’ingovernabilità”.
E
non a caso il libro di Bolaffi e Terranova si chiude ricordando la
storia di Hollywood, dove negli anni 30 del secolo scorso, le cinque
grandi case di produzione cinematografica, quelle che hanno portato
nel mondo il sogno americano, sono state tutte fondate da cinque
immigrati ebrei dall’Europa centro-orientale. E’ solo un caso?
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Presidente ed editorialista di Firstonline