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Il presidente del Consiglio con i due vice presidenti |
“Sebbene, negli ultimi anni. il peso
complessivo delle tasse risulti leggermente in calo – ha detto
Paolo Zabeo, il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia –
molti non se ne sono accorti, poiché allo stesso tempo sono
cresciute le tariffe della luce, dell’acqua, del gas, i pedaggi
autostradali, i servizi postali, i trasporti urbani, e così via. Dal
punto di vista contabile, queste voci non rientrano nella pressione
fiscale. Tuttavia, hanno avuto e continuano ad avere effetti molto
negativi sui bilanci di famiglie e imprese, in particolar modo per
quelle fedeli al fisco”.
Non solo. Va ricordato che il Pil
italiano, come quello di molti altri Paesi dell’Ue, include anche
gli effetti dell’economia non osservata. Questa “ricchezza”,
riconducibile alle attività irregolari e illegali che, per sua
natura, ha dimensioni importanti, non dà alcun contributo
all’incremento delle entrate fiscali. Ma la pressione fiscale si
calcola facendo il rapporto tra le entrate fiscali e il Pil; per cui,
se dalla ricchezza prodotta scorporiamo la componente riconducibile
all’economia “in nero”, il peso del fisco in capo ai
contribuenti onesti sale inevitabilmente, consegnandoci un carico
fiscale reale molto superiore a quello ufficiale.
E non è da escludere che anche la
pressione fiscale ufficiale nel 2019 torni a salire. Non tanto perché
il prelievo complessivo è destinato ad aumentare, cosa che in linea
di massima non si dovrebbe verificare, bensì perché la crescita del
Pil sarà molto contenuta e nettamente inferiore alla variazione
registrata l’anno scorso.
Comunque, tornando ai consuntivi, ecco
perché la Cgia sostiene che la pressione fiscale reale è al 48 per
cento: secondo l’Istat, nel 2016 (ultimo dato disponibile)
l’economia non osservata ammontava a 209,8 miliardi di euro (pari
al 12,4 per cento del Pil): di questi, 191,8 miliardi erano
attribuibili al sommerso economico e altri 17,9 alle attività
illegali. Perciò, l’Ufficio studi della Cgia, ipotizzando,
prudenzialmente, che l’incidenza dell’economia sommersa e delle
attività illegali sul Pil nel biennio 2017-2018 non abbia subito
alcuna variazione rispetto al dato 2016, ha sottratto dalla ricchezza
del Paese (Pil) la quota riconducibile al sommerso economico e alle
attività illegali, che non producono alcun gettito per le casse
dello Stato, ottenendo così una riduzione del prodotto interno lordo
e, “contraendosi” il valore del denominatore, il conseguente
aumento del rapporto tra il gettito fiscale e il Pil, appunto al 48
per cento.
Renato Mason, il segretario della Cgia,
ha concluso: “Se da un lato abbiamo recuperato 7,6 miliardi di
euro, che ci hanno evitato la procedura di infrazione da parte
dell’Ue; dall’altro lato dobbiamo trovare entro dicembre 23
miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e altri 10-15 miliardi
per estendere la flat tax a tutta la platea dei contribuenti.
Insomma, al fine di evitare un forte aumento dei prezzi di beni e
servizi e per beneficiare di una decisa riduzione del carico fiscale,
dovremmo recuperare in pochi mesi almeno 33 miliardi. Una impresa
che, ad oggi, appare proibitiva”.