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Francesco Profumo, presidente Compagnia di San Paolo |
La nomina del nuovo vertice di Intesa
Sanpaolo è un “caso” di particolare interesse, per diverse
ragioni: fra l'altro, riaccende la questione dei rapporti
Torino-Milano, della governance delle banche e del loro ruolo
nell'economia locale, delle fondazioni di origine bancaria e del
dirompente protocollo Acri-Mef, che qualcuno giudica sciagurato.
Fra l'altro, l'intesa tra il ministero
dell'Economia e delle Finanze e l'associazione delle fondazioni
bancarie, presieduta dal 2000 da Giuseppe Guzzetti, presidente anche
di Fondazione Cariplo da 22 anni, comporta che gli enti firmatari
dismettano la partecipazione nella banca, da cui hanno avuto origine,
per la quota il cui valore di mercato risulti superiore a un terzo
del valore complessivo dell'attivo della fondazione.
Impegno che, in parole povere, obbliga
la Compagnia di San Paolo a vendere un sacco di azioni e a perdere la
posizione di primo azionista assoluto, nonché dividendi ricchissimi.
La Compagnia avrebbe dovuto adempiere entro il 22 aprile 2018, cioè
entro i tre anni dalla firma del protocollo; ma ha ottenuto una
dilazione del termine, in considerazione delle condizioni di mercato
sfavorevoli. Comunque, ha ridotto la sua quota e non poco.
Di non essere più il socio di
controllo o di riferimento della “propria” banca è già successo
a diverse fondazioni, ad altre sta succedendo e, comunque, è il
destino di tutte (decisa a resistere è unicamente la Fondazione
Cassa di risparmio di Fossano). Con risultati contrastanti e
discutibili.
L'importanza delle banche locali, per
le rispettive economie, è stata riconosciuta, ancora poche settimane
fa, persino dalla Fed, la Banca centrale degli Usa, dove si contano
circa 9.000 istituti di credito territoriali.
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Giuseppe Guzzetti, presidente Fondazione Cariplo |
In Italia, finora, tante fondazioni
hanno assicurato la continuità e la competitività delle banche
locali, promuovendo, allo stesso tempo, lo sviluppo della loro
comunità. Le esperienze negative, che ci sono state, non possono far
dimenticare quelle positive.
Una fondazione bancaria può essere
migliore, o non peggiore, di qualsiasi altro tipo di socio di
riferimento. Dipende tutto da chi la guida e come. Il progresso di
una banca non è garantito se le sue strategie e il suo management,
invece che da una fondazione, sono determinati da una famiglia
piuttosto che dallo Stato o da cooperative, da uno o più fondi
comuni d'investimento. Le prove non mancano.
Forse per l'ultima volta, la Compagnia
di San Paolo, ha la possibilità di far contare e pesare la sua quota
di maggioranza relativa nella scelta dei futuri amministratori di
Intesa Sanpaolo, le cui scelte avranno un'importanza notevole anche
per Torino. Decisioni passate sono costate e costano moltissimo alla
città della Mole. Sono state perse attività e nuove opportunità;
ma un vertice più sensibile anche agli interessi e alle potenzialità
di Torino potrebbe dare compensazioni, per esempio trasferendo a
Torino il centro direzionale di Fideuram, che qui ha la sede legale.
Senza fare nulla di illecito e pur ottemperando ai crescenti e sempre
più invasivi dettami di autorità finanziarie, che, di fatto, si
stanno sostituendo agli amministratori delle banche, ma evitando di
assumersene la responsabilità.
Il mitico Enrico Cuccia, quando
Mediobanca era il centro del potere economico italiano, diceva che le
azioni non si contano ma si pesano. I tempi sono cambiati, molto. Ma
resta vero e valido che, in ogni organizzazione, quasi sempre, è il
valore della singola persona, fisica o giuridica, a risultare
determinante.
Nella partita di Intesa Sanpaolo,
finora, Milano ha pesato più di quanto contasse. A scapito di
Torino. Ora c'è l'occasione finale di una riscossa. Che dipende
dalla Compagnia di San Paolo.
(da L'ECONOMIA NORD OVEST del CORRIERE
TORINO del 28 gennaio 2019)
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